Approfittando dell’attuale Anno Sacerdotale 2009-2010, vorrei proporre come battezzato una mia riflessione sul sacerdozio visto in relazione con gli altri carismi presenti all’interno della comunità cristiana. La vocazione del candidato al sacerdozio e il luogo dove essa viene valutata, il seminario, è sempre meno adatto alla nostra nuova situazione storica dove le vocazioni non possono essere più valutate come in laboratorio.
Oggi per il futuro sacerdote c’è bisogno di una partenza che favorisca una diversa maturazione umana dal momento che la separazione iniziale dalle altre vocazioni cristiane spesso ne condiziona uno sviluppo a tutto tondo. Un’idea potrebbe essere quella di un nuovo tipo di Facoltà teologica, in sostituzione del seminario, dove tutte le vocazioni dei battezzati dei due sessi ( quelle dei futuri preti, suore, insegnanti di religione o amanti dello studio teologico ecc.) siano messe a contatto ed aiutate a crescere.
Nei primi quattro anni tutti gli studenti potrebbero formare piccole comunità dove vivere la loro vocazione nella varietà dei carismi e solo alla fine di questo percorso chi vorrà presentare la sua candidatura al sacerdozio potrà farlo entrando in seminario con un ulteriore anno di preparazione specifica ed uno di osservazione-tirocinio in più parrocchie dopo l’ordinazione. Solo così sarà naturale per i futuri preti vivere l’esperienza cristiana non da isolati ma con l’esigenza primaria di ricreare ciò che hanno vissuto.
I Pastori della Chiesa italiana dovrebbero affrontare la mancanza di sacerdoti non solo come una triste realtà ma come un’opportunità per ripensare la comunità cristiana secondo la visione che ne ha Paolo in 1Cor 12,4-11. Di fronte a questa carenza oggi si cerca di attivare i battezzati in funzione vicaria che però cessa subito dove sia presente il prete. Forse questo tempo è chiamato non ad arrangiare ciò che esiste ma a partire da Comunità dove il sacerdozio comune, quello ministeriale e i vari carismi siano vissuti non in un isolamento sofferente ma riconosciuti nella loro dignità votata al vicendevole servizio nell’ascolto dell’unico Maestro: “Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli.” (Mt 23,8).
Oggi sorgono nuove comunità a carattere laico dove è presente una adesione completa alla Chiesa ma dove il prete, pur insostituibile per i sacramenti, non viene vissuto come un reale fattore di unità perché molte volte conduce la comunità secondo le sue preferenze personali che di fatto escludono altri modi legittimi di vivere la fede. Purtroppo questa situazione allenta i vincoli con la parrocchia e crea molte sofferenze. Questo succede perché i preti hanno perso, con il loro linguaggio di chiesa ed il mondo chiuso delle loro relazioni, l’occasione storica di offrire se stessi come terreno fresco e vigile per l’accoglimento e l’elaborazione delle Parole che Dio invia all’umanità di oggi (a parte qualche rara e preziosa eccezione).
Una svolta epocale oggi potrebbe essere quella del passaggio dalla centralità del prete a quella della comunità cristiana come soggetto che parla e testimonia al mondo la sua fede nel Risorto. Oggi come residuo del passato rimane una polarizzazione verticale tra il prete ed il resto della comunità che è diventata una sorta di gabbia che espelle quanti vogliono vivere una chiesa più ricca di Spirito Santo (e per evitare fraintendimenti qui non si vuole una chiesa di eletti ma neppure di poveri di spirito).
E allora occorre rimescolare le carte per far nascere qualcosa di nuovo in modo che la comunità cristiana si scrolli d’addosso quella deriva pagana che la vede spesso soddisfatta da un uso consolatorio della vita sacramentale espellendo ogni riferimento a testimoniare il suo credo nei contesti storici in cui vive. I preti, forse in modo inconscio, sono inclini a gestire il loro sacerdozio secondo logiche religiose mentre sarebbe utile per tutti vederli presi da un’ ansia per coloro che ancora non conoscono il Regno di Dio e non solo per il recinto delle proprie pecore: il Papa, ed oggi sempre più alcuni vescovi, ci danno testimonianza che ciò è possibile. Come procedere?
Occorre anzitutto che i preti aiutino i cristiani a crescere nella corresponsabilità (che è altra cosa dal cooptarli nei Consigli Pastorali) senza arrestarsi di fronte alle difficoltà iniziali per l’apparire di battezzati peggiori dei preti. E soprattutto che rinuncino qualche volta a parlare anche se possono parlare, a interpretare le lingue anche se lo possono fare, alla sapienza anche se la possono esprimere, e se pure hanno scienza, fede, dono delle guarigioni, dei miracoli, delle profezie, della distinzione degli spiriti si prendano cura del fatto lo Spirito Santo distribuisce questi doni all’interno di tutta la comunità e che è loro preciso compito non mortificarli ma farli crescere a beneficio di tutta la comunità cristiana anche se questo li farà sentire meno protagonisti. Credo che parlare assieme di tutto ciò possa preparare il terreno per un cambiamento non più rimandabile.