Caro Domani, di lavoro si muore. E si muore per non arrivare alla fine del mese, in nero
10-10-2011
di
Mauro Biolcati, avvocato, Firenze
Sono i tempi che stiamo già vivendo: il Paese reale è tornato di prepotenza sulle pagine dei giornali. Lo ha fatto per le ragioni peggiori, la morte delle cinque operaie in nero di Barletta. Si torna così a guardare la miseria di tutti i giorni, soffocata da mesi di fiumi d’inchiostro buttati sulla crisi (economica e, per quanto non ufficiale, di governo), di scandali giudiziari che coinvolgono i vip toccandoli marginalmente, di grossi processi che diventano argomento costante sui media. Eppure c’è una realtà, quella di tutti i giorni, che viene raccontata un po’ nelle cronache sindacali, ma non più di tanto.
L’Agenzia delle Entrate e il suo braccio armato hanno trovato non il modo di recuperare l’evasione fiscale, ma di recuperare denaro tout cour (concetti diversi, che si tenta di massificare imponendo pagamenti a 60 giorni anche se si deve andare in contenzioso). Così facendo peggioreranno i conti dei privati cittadini e costringeranno le aziende a stornare verso di loro soldi che magari si possono usare per altro, in attesa di un giudizio di merito. Tipo la sicurezza sui posti di lavoro, i versamenti contributivi, il rinnovo di impianti e strumenti professionali.
Intanto di lavoro di muore, come a Calcutta o in Angola. Come in Belgio nel 1956 con la strage di Marcinelle. Si muore per non tirare a campare, paradosso moderno che ci riporta a tempi prefordisti e ci lascia addosso una profonda amerezza non solo per i tempi che ci aspettano, ma per quelli che già stiamo attraversando.