Caro Domani, rammento che Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella definirono i parlamentari italiani “La Casta” in un loro celebre libro di successo ampiamente meritato; Grillo usa apostrofarli come “i nostri dipendenti”; se ragioniamo senza preconcetti, con la logica, tali sono dal momento che si tratta di rappresentanti degli elettori remunerati con le tasse dei medesimi, (il vero datore di lavoro) e il cui compito (impegnativo) è legiferare.
Utilizzando questa “logica” dobbiamo necessariamente chiederci : perché dei “dipendenti“ stabiliscono autonomamente il loro stipendio e relativi aumenti, i vari benefit, i diversi privilegi, le loro pensioni e relativi meccanismi?? Ricorrendo ad un esempio banale ma significativo, s’è mai visto che in un’ azienda i dipendenti definiscano il loro compenso contrattuale? Tutt’al più è l’esito di una contrattazione fra i sindacati e l’azienda, non il frutto di una decisone autonoma.
L’autonomia decisionale di cui godono in materia di trattamento economico consente che decidano “legittimamente” qualsiasi cifra; nell’arco di pochi anni lo stipendio dei parlamentari italiani in Italia e in Europa è cresciuto superando quello di tutti i parlamentari europei, in barba ai conti pubblici, alle condizioni sociali sempre più degradate di gran parte della popolazione, al colossale debito pubblico del paese.
Da parte dei politici italiani, di destra e di sinistra, non c’è mai stato il buon senso di limitarsi e il buon gusto di capire che avevano esagerato, che da tempo avevano superato ormai ogni limite dettato dalla decenza; ciò che va cambiato, in primis e in radice, è il soggetto che determina tali valori; lasciare gestire ai diretti interessati significa fidarsi unicamente della loro discrezione, ovvero esporsi al rischio di intollerabili abusi che è esattamente quello che è avvenuto sino ad oggi.
A mio avviso l’unica soluzione, equilibrata e definitiva, è che “il datore di lavoro” (ossia i cittadini contribuenti) stabilisca quanto pagare “i propri dipendenti” nel parlamento nazionale e nei vari parlamenti regionali; costoro ovviamente sarebbero liberi di accettare o rifiutare e trovarsi un’altra occupazione;
Le modalità per stabilire le cifre concrete possono essere diverse. Ne cito 2 .
Il primo è il referendum ove vi sia una forbice di valori (esempio: minimo pari a 3.000 euro mensili, medio pari a 4.500 euro mensili, massimo pari a 6.000 euro mensili).
Passerà quel valore che avrà raccolto il maggior numero di voti; così facendo si conseguiranno dei risultati importanti: sarà inequivocabilmente la volontà popolare a decidere (e non più i diretti interessati), non vi saranno più recriminazioni di sorta, malumori e mugugni della popolazione stante la volontà espressa democraticamente dalla maggioranza dei cittadini.
In alternativa al referendum per ottenere i valori retributivi da riconoscere ai parlamentari si può utilizzare lo strumento che annualmente misura il reddito nazionale ossia la Dichiarazione dei Redditi (il “730” o il “740”); anche qui, come descritto sopra, sarebbe presente una forbice con i vari redditi; in questo caso si eviterebbero i costi notevoli di un referendum e sarebbero in questo caso i “cittadini – contribuenti” ad avere espresso la loro volontà.
I valori emersi, qualsiasi sia il metodo usato, sarebbero applicabili a partire dalla legislatura successiva a quella in vigore.
Non è dunque un problema tecnico arrivare ai risultati quanto piuttosto avere la volontà politica, da parte del parlamento, dei vari partiti di cancellare l’auto – determinazione del proprio trattamento economico, un sistema equivoco, per le ragioni viste, un’autentica aberrazione (per usare un eufemismo), un sistema non degno di un’autentica democrazia e in contrasto palese con il secondo paragrafo della l’Art. 1 della Costituzione che recita “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Soffermandoci sul termine “sovranità”, appunto, è sovrano chi decide; soprattutto su questioni economiche; se sono “i dipendenti” a decidere qualcosa non funziona;
Lasciare decidere ai cittadini su questo tema certamente non appiana i problemi di bilancio del paese; risolve però un annoso problema etico, e l’etica, se qualcuno lo rammenta, è la base della politica, quella sana.