Caro Domani, tante polemiche su Wikileaks, ma chi sta davvero prendendo in considerazione i documenti?
02-12-2010
di
Giaime Garzia
Un paio di considerazione sul caso Wikileaks e le polemiche che infuriano sui giornali. La carriera di Assange precedente al progetto attuale non è molto diversa da altri hacker (intesi nell’ottica dell’etica hacker, non nel senso di azioni di simil-guerra a bassa intensità, come le incursioni cinesi contro Google). Si accusa il patron di quel progetto di prendersela con gli Usa, ma quel genere di hacker spesso hanno colpito gli States (e ne sono stati puniti, vedi il caso Kevin Mitnick, che poi si dà a una più tranquilla divulgazione che contribuisce a farne una star). Se Assange sia o meno un agente provocatore o comunque un ariete al soldo di qualche servizio, non è da escludere e prima o poi si verrà a sapere. Di certo una componente personalistica molto forte fa parte del fenomeno Wikileaks. Ma non è questo il punto, secondo me.
Va detto che le sue fonti stanno in questo momento probabilmente dentro gli apparati Usa (si veda anche caso “Collateral Murder”, quello dell’elicottero americano Apache che spara sui civili e fa un massacro ben poco giustificabile: quello è un caso ben più virtuoso dal punto di vista informativo) e magari proprio qui sta una “direzionalità” anti-States (non per forza voluta da Assange) degli attacchi di Wikileaks. E comunque quando ti arriva in mano documentazione che scotta parecchio sai perfettamente che qualcuno ti tira dentro un gioco che ha degli obiettivi. Va però aggiunto anche il messaggio vero sta altrove e cioè risiede in un’affermazione che posso comprendere abbia un valore para-terroristico per le istituzioni: non vi potete più nascondere dietro i vostri segreti (di Stato o meno).
Una roba alla “Collateral Murder” sarebbe uscita, ma magari tra trent’anni, come la documentazione segretata in passato, dimostrando le colpe degli Stati Uniti, ma con una valenza stemperata dal fattore tempo. Oggi, invece, rispetto ai “si dice” (che la Cia abbia pilotato il golpe in Cile, abbia appoggiato gli ayatollah in funzione anti-scià e così via), c’è la possibilità che il suffragio della prova giunga subito. Un assaggio lo si era avuto con le false armi di distruzione di massa ai tempi dell’intervento in Iraq, operazione di intelligence smascherata da un più tradizionale giornalismo d’inchiesta in chiave squisitamente anglossassone.
Wikileaks diventa un’accelerazione di una sorte che toccherà a una parte del giornalismo, soprattutto in ambienti digitali (sempre a mio avviso): veder ridotto il proprio ruolo di intermediazione tra il messaggio e il destinatario del messaggio. Una parte del giornalismo, credo, diventerà fonte pura: cioè la capacità del giornalista starà nello stanare la fonte documentale e renderla accessibile “as is” ai cittadini. Che poi possono scegliere se accedere, se studiare per interpretarla, se interpretarla male o se fregarsene e continuare ad affidarsi alla funzione interpretativa di un’altra parte del giornalismo, che continuerà ad avere questo ruolo.
A fine 2010 siamo ancora qui a chiedere la rimozione del segreto di Stato da fatti di strage e di terrorismo e l’apertura degli archivi (anche di quelli che dovrebbero essere già accessibili e che invece sono ostaggio di una burocrazia forse molto ruffiana con il lato – chiamiamolo così – discreto del potere). Ecco, un fenomeno come Wikileaks (e che forse a breve raddoppierà, come scriveva qualche giorno fa “Le monde”) d’acchito non può che essere benvenuto. E proprio perché benvenuto, bene fargli le pulci. Intanto però c’è la documentazione. Quella va studiata.
Giaime Garzia, politologo di formazione, è un giornalista e un critico letterario. Ha collaborato con varie testate nazionali.