Il prefetto Guido Letta e un ragazzo ebreo internato a Navelli
05-12-2011
di
Ezio Pelino, "Ateismo e Libertà", Sulmona
Guido Letta fu un convinto assertore e un rigoroso attuatore delle leggi razziali del 1938. Da una sua lettera del 1939 indirizzata “ai fascisti podestà e commissari prefettizi” egli appare addirittura più razzista del Duce. Chiede, infatti, una separazione più incisiva degli ebrei dagli italiani, radicalizzando le diposizioni in merito: “L’applicazione rigorosa delle leggi razziali, come era nelle direttive del Gran Consiglio, conduce ad una inevitabile conseguenza: separare quanto è possibile gli italiani dall’esiguo gruppo di appartenenti alla razza ebraica […]. Occorre favorire nei modi più idonei e opportuni questo processo di lenta ma inesorabile separazione anche materiale. Su queste direttive richiamo la vostra personale attenzione e vi prego di farmi conoscere le iniziative, che d’intesa coi Fasci, prenderete al riguardo e i risultati ottenuti”.
La recente intitolazione ad Aielli di una piazza al prefetto Guido Letta e il busto a lui dedicato, mi sollecitano a richiamare un libro scritto da un ragazzo ebreo internato con la famiglia a Navelli, perché si sappia che gli ebrei erano perseguitati anche in casa nostra. Un libro del tutto sconosciuto in Abruzzo, pubblicato stranamente dall’amministrazione provinciale di Milano e colà diffuso. Dal diario di Luigi Fleischmann “Un ragazzo ebreo nelle retrovie”, La Giuntina, 1999, veniamo a sapere che alcune famiglie ebree erano “internate” a Navelli. Si tratta di una preziosa testimonianza di quella dura esperienza. Il padre di Luigi, segretario della comunità ebraica di Fiume, a seguito delle leggi razziali del ’38, viene internato prima a Notaresco, poi a Ferramonti in Calabria e infine a Navelli. Il resto della famiglia lo segue dall’aprile del ’43. Vivono, anzi si industriano a sopravvivere con altri ebrei e con alcuni confinati politici. L’assurdità delle discriminazioni che li ha colpiti è messa in evidenza dal comportamento della popolazione che, in contrasto con le disposizioni di regime, dimostra profonda umanità nei loro confronti e li aiuta come può. Le loro condizioni erano simili a quelle dei confinati. Avevano l’obbligo di presentarsi due volte al giorno ai locali carabinieri, non potevano oltrepassare il perimetro loro assegnato nell’ambito del territorio comunale e avere rapporti con la popolazione locale né occuparsi di politica, leggere senza autorizzazione pubblicazioni estere, possedere apparecchi radio. Anche la corrispondenza con i familiari era sottoposta a censura, mentre per scrivere ad altre persone occorreva una particolare autorizzazione. Dopo l’otto settembre, gli stessi carabinieri italiani, conoscendo la spietata determinazione dei nazisti, li mettono in guardia. Vivono sotto falso nome, nel continuo timore di essere scoperti. La prospettiva, se riconosciuti, è il trasporto in Germania e la morte in un campo di sterminio. Ma nessuno del paese li tradì. Per farsi animo ascoltano clandestinamente radio Londra ma gli entusiasmi iniziali si smorzano di fronte alla tenace resistenza tedesca sulla linea Gustav. Il giovane Luigi osserva e annota diligentemente le minute vicende quotidiane, connotate dagli avvenimenti bellici, dalle incursioni aeree, dai rastrellamenti, dalle difficoltà di alimentarsi, dai contatti con il nascente movimento di resistenza locale. Finalmente, la liberazione. Si annuncia con l’arrivo della Banda patrioti della Maiella. Scrive, felice, Luigi il 16 giugno 1944: “ Attraverso le montagne, è arrivato ad ingrossarci un plotone della Brigata Maiella, che fa da avanguardia alle truppe inglesi, le quali dovrebbero stare forse a tre chilometri dalle nostre posizioni. Questi ragazzi della Maiella hanno un aspetto feroce, carichi di armi e cordoni di proiettili. Sono armati più pesantemente di noi. Ma, di bombe a mano si riforniscono al nostro deposito, quello catturato da noi”.