Il voto della Camera lo conferma e gli scontri di piazza pure: il peso della finanziaria grava sempre sulle famiglie e su chi timbra al mattino. I 169 miliardi degli evasori sono appena sfiorati, manager e grandi capitali rispettati con deferenza: appena il 3 per cento di patrimoniale a chi guadagna più di 300 mila euro. Spiccioli per loro mentre 41 milioni di persone pagano il ticket e tirano la cinghia
Sergio CASERTA – Chi paga la manovra?
15-09-2011Al vivace “mercato della terra” dei prodotti biologici di Bologna, al sabato con banchi di verdure e frutta, salumi e formaggi, birre artigianali, prodotti da forno ed una folla di consumatori evoluti ed esigenti, che compra come negli altri mercati ma con la convinzione di scegliere prodotti di qualità a Km 0, peccato che anche la ricevuta fiscale degli scontrini sia eguale e zero! Nel senso che nessuno la rilascia, cos’ ad esempio ad una spesa di 25 euro corrisponde un’evasione di 5 euro.
La podologa dopo una visita accurata, ti applica lo sconto sulla parcella “sarebbe 70 euro, facciamo 50” ma senza ricevuta è implicito. Anche lo specialista accorsato, più attento, ti dice esplicitamente “Egregio senza fattura sono 150 euro, altrimenti 180. Insomma l’IVA è la tassa più evasa, cosa produrrà l’aumento al 21% sui prezzi di beni e servizi? Forse più entrate per lo Stato a spese del consumatore finale ma certamente anche più evasione. Questa manovra di ben 145 miliardi in quattro anni, bocciata ripetutamente dai mercati finanziari, scritta e riscritta da un Governo in agonia e tenuto pervicacemente in vita da un crogiolo d’interessi economici, politici, personali, giudiziari, di una classe dirigente indigesta all’intera Europa ed al mondo, ci sta propinando una ricetta che è un salasso solo per i percettori di redditi da lavoro.
Una manovra socialmente a “senso unico” che non ha alcuna intenzione di far pagare la crisi agli evasori, ai possessori di grandi patrimoni, a chi vive di rendita. Quali sono i suoi elementi essenziali, lo evidenzia in modo chiaro la nota d’analisi della “contromanovra” della CGIL che la definisce giustamente depressiva e socialmente. A regime nel 2014 il taglio sarà di oltre 60 miliardi di cui circa 40 di maggiori entrate fiscali di cui 20 mld come minori detrazioni alle famiglie, 4,2 dall’IVA e 5,7 dalle pensioni, imposte tutte a senso unico cioè a carico dei redditi con prelievi alla fonte.
Oltre alle detrazioni, all’IVA ed alle pensioni, la manovra colpisce con le addizionali IRPEF per Comuni e Regioni a cui vengono tolte risorse e quindi saranno altre imposte locali che graveranno sulle famiglie, cosi come i ticket sui farmaci e sugli esami. Si colpiscono ancora i lavoratori dipendenti attraverso il ritardo di sei mesi nel pagamento del TFR per i dipendenti pubblici per coloro che vanno in pensione regolarmente e di 24 mesi per chi ci va, non per volontà sua il più delle volte, con anticipo.
Invece nei riguardi delle fasce alte di reddito la manovra diventa leggera quasi impalpabile. Dopo aver preannunciato un contributo di solidarietà per i redditi oltre i 90 mila euro, si è deciso “con un gran senso di equità” di lasciare quest’imposta solo per i dipendenti pubblici, recuperando solo dopo le proteste di mezzo mondo un ben modesto 3% d’imposte dai redditi dei privati ma solo sopra i 300 mila euro.
Così come si finalmente superata la resistenza a modificare la tassazione delle rendite finanziarie dal 12.50% al 20% ma non per i titoli di Stato che restano con l’aliquota precedente; notare che anche in questo caso si privilegiano i grandi investitori perché per chi ha poche migliaia di euro di titoli, la differenza in termini di interessi netti è irrilevante. Dalla lotta all’elusione fiscale si conta di recuperare pochi spiccioli, segno che non è un “terreno privilegiato” di caccia agli evasori.
Per non parlare dei cosiddetti “costi della politica” dove la mano dei tagli è stata così leggera da lasciare praticamente intatta tutta la ragnatela di vantaggi e sprechi che contraddistingue il nostro malmesso sistema politico-istituzionale. Ci sono poi gli aspetti più decisamente politici ed ideologici della manovra, quelli nei quali si distingue oltre al carattere di classe ( capitalistica senza ombre) dell’indirizzo di politica economica e fiscale.
Si tratta degli interventi contenuti nel famigerato articolo 8 quello che consente di stipulare a livello aziendale o territoriale, accordi che possono derogare dalle leggi nazionali in materia di licenziamento senza giusta causa come ne caso delle donne in maternità. Insomma l’aggiramento e lo scardinamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in nome del “relativismo legale” ovvero che le norme a favore del lavoro non valgono erga omnes ma sono oggetto di continua contrattazione tra le parti, con ovvie conseguenze in tutti i casi dove questi rapporti, la maggior parte, sono a vantaggio dell’azienda.
Così come si dispone del tutto illegalmente la riscrittura di leggi ed ordinamenti “in attesa” che quattro articoli della Costituzione vengano modificati. S’impone la privatizzazione del patrimonio e delle aziende pubbliche, contraddicendo la volontà espressa dai cittadini meno di tre mesi fa attraverso i referendum. Il manifesto “mercati e manovra” del quotidiano il Sole 24 ore di domenica, evidenzia in bella vista, in nove punti il suo programma per uscire dalla crisi:
- 1. meno tasse sul lavoro
- 2. pensione a 70 anni
- 3. euro bond
- 4. privatizzazioni
- 5. liberalizzazioni
- 6. patto di stabilità sanità
- 7. aumento rette universitarie
- 8. trasparenza pubblica amministrazione
- 9. taglio costi della politica
Indubbiamente un manifesto economico ed ideologico che non fa una piega per chi lo propone, il giornale confindustriale e che è in consonanza con gli intendimenti di fondo della politica di questo governo, sebben ne critichi poi l’inefficacia. Possiamo però rilevare a parer nostro che manca un decimo punto “patto contro l’evasione” di cui il giornale poteva farsi paladino nei confronti di una parte dei suoi lettori in cui gli evasori si annidano, purtroppo non ne ha avuto il coraggio o l’intenzione.
Come ha ben evidenziato l’ex giudice Bruno Tinti nel dibattito alla festa del Fatto Quotidiano, nel nostro Paese, 41 milioni di cittadini, percettori di redditi da lavoro e da pensione rappresentano l’88% del totale dei contribuenti e corrispondono il 97% del gettito fiscale, gli altri 5 milioni che sono il 12% circa, evadono ogni anno imposte per oltre 160 miliardi (fonte ministeriale) che da soli basterebbero a risolvere tutti i nostri problemi di bilancio e di spesa pubblica. Se non cambiano questi parametri, quale speranza abbiamo di diventare un paese più civile, più sano, più efficiente e competitivo?
Il Governo non si è retto finora e non si regge ancora solo per la capacità di corruzione dei Berluscones, è anche una colazione che si fonda sull’assenza di ogni cultura dello Stato e del bene comune, del permanere di privilegi, di interessi grandi e meno grandi (basta pensare agli improvvidi favori fiscali alla chiesa cattolica) che sono però tutti in contrasto con l’interesse del paese, del suo futuro, soprattutto per le nuove generazioni. Occorrerebbe una grande contromanovra dell’opposizione, fondata sul riequilibrio progressivo dell’imposizione e del recupero fiscale, facendo pagare a chi ha di più e miglorando la condizioni di vita dei meno abbienti e rivitalizzare l’economia.
Lo sviluppo dovrebbe fondarsi su una riconversione produttiva, ambientale e dei consumi e non solo sulle “grandi opere”, privilegiando il risparmio energetico, le energie rionnovabili, il riciclo ed il riuso dei materiali, i trasporti collettivi, lo straordinario patrimonio naturale, artistico, archittettonico e culturale del nostro Paese, la ricerca scentifica, l’innovazione tecnologica, l’imprenditorialità e la creatività dei giovani, ma stiamo parlando di un Paese che ancora non c’è, speriamo per poco!
La manovra è stata approvata dai due rami del parlamento, nello scetticismo disilluso degli stessi che l’hanno votata; ora produrrà i suoi effetti e gli italiani ne sopporteranno il peso, ma sappiamo già da ora che non servirà ad invertire la corsa verso il declino economico del Paese. Solo la classe sociale più abbiente, i ricchi ed i supericchi con in cima il presidente del Consiglio, potranno continuare, almeno per il momento, a godere di tutti i loro privilegi senza alcun sacrificio che invece graverà sui lavoratori, i consumatori e sulle loro famiglie.
L’opposizione sociale a questa ingiusta vessazione contro il popolo, imposta dal Governo e dai suoi alleati “di classe”, sta muovendo i suoi passi ed è certo che nei prossimi giorni e mesi leverà forte la sua indignata protesta. Le prossime settimane sono decisive per comprendere se l’effetto più destabilizzante della crisi dei mercati finanziari, anche sull’Europa, si è placata o stiamo correndo verso il precipizio di un’evoluzione ancora più nera e dalle conseguenze imprevedibili.
Paradossalmente finanza e “indignatos” esprimono da versanti e con interessi del tutto diversi, un’eguale radicale critica all’incapacità delle classi dirigenti di trovare una soluzione positiva alla generale crisi di fiducia.
Sergio Caserta è nato a Napoli. Studi in materia giuridica ed economica, dirigente di organizzazioni ed imprese cooperative, attualmente vive a Bologna e si occupa di marketing e comunicazione d'azienda. Formatosi nel PCI di Berlinguer, coordina l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra (www.arsinistra.net). Nel 2005 fu tra i promotori della rete "Unirsi" (www.unirsi.it). Già consigliere provinciale di Sinistra Democratica, oggi aderisce a Sinistra Ecologia e Libertà