Milena Agus, La contessa di ricotta, Nottetempo, 2009
Un antico palazzo nobiliare col suo giardino di piante fiorite, una strada che sale tortuosa e, sullo sfondo, uno scorcio di mar di Sardegna. Questo è il mondo – così piccolo che lo potresti chiudere in una palla di vetro – in cui scorre ordinata la vita di tre sorelle contesse: Noemi, la maggiore, zitella apparentemente irredimibile, giudice non solo in tribunale ma anche a casa, dove tenta di imporre la propria «visione sistemica» che prevede innanzitutto la ricomposizione del patrimonio immobiliare di famiglia, consistente appunto in quell’unico palazzotto, smembrato negli anni, per necessità, fra diversi proprietari; Maddalena, bella e provocante, selvaggiamente innamorata del marito Salvatore al quale, unico suo cruccio, non riesce a dare un figlio; e infine la “contessa di ricotta”, circonfusa di un’aura di soave inutilità, incapace com’è, per via delle mani di ricotta, di badare alle cose di casa, a se stessa e perfino a Carlino, quel suo figlietto bruttino e bislacco cui difettano tutte le doti che rendono amabili i pargoli (inconsapevole arguzia, movenze graziose, teneri abbandoni), ma che seduto al pianoforte rivela un’insospettabile maestria.
Non se la passano bene, le sorelle, ché nobiltà non basta a far quadrare i conti, ma non rinunciano alle ultime vestigia dell’antica ricchezza (argenti, trine, porcellane) che – Noemi ne è certa – un giorno ritornerà, e le serbano come tesori inestimabili perché solo a guardarle il cuore si rinfranca. E ognuna di loro coltiva incrollabili illusioni, con la tenacia di chi pensa non sia rimasto altro: forse il vecchio palazzo si potrà ricomprare e ristrutturare, forse un figlio verrà, forse l’amore…
Finché l’amore (o una sua parvenza) irrompe davvero sulla scena e rovescia la palla di vetro, provocando non una festosa nevicata, ma un’autentica tormenta che travolge inaspettatamente la povera Noemi. “Sono volato sopra questi muri con le ali dell’amore”, le recita infatti il vigoroso muratore Elias – improvvisatosi Romeo – prima di darsela a gambe, terrorizzato all’idea che le sue parole possano essere prese sul serio, e lasciandola a raccogliere i cocci delle sue porcellane e del suo cuore; l’amore fa volare, «ma quando si atterra, si deve centrare la pista senza pensare ad altro, solo a salvare la pelle e non sfracellarsi», chiosa la contessa di ricotta, contagiata dall’allegro realismo del vicino di casa che, a lungo corteggiato, finalmente si è accorto di lei.
L’amore che travolge e fa soffrire, insomma, è solo una bufera, destinata a durar poco; poi la vita di ogni giorno riprende, e la neve torna a posarsi sul quel che è stato e quel che sarà…
Dunque, questo piccolo libro della Agus è una fiaba, con tanto di morale? Forse, o forse è un pomeriggio di bimbe che giocano a fare le signore, sedute al tavolino a prendere il tè. È comunque un modo garbato, venato di fine umorismo e di una sottile malinconia, per prendersi una pausa dalle incessanti richieste del mondo reale che ci circonda; è una delle cose piacevoli e non necessarie che ogni tanto abbiamo il diritto di concederci; è un desiderio esaudito di semplice bellezza, a compensare l’opprimente squallore dello scompartimento in cui entriamo ogni giorno.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.