Il tema del perdono, al-Ghufran, ritorna più volte nel Corano, ma figura come assoluto protagonista nella Sura (capitolo) XL, significativamente nota come al-Ghafir (colui che perdona).
«Colui Che perdona il peccato, che accoglie il pentimento, che è severo nel castigo, il Magnanimo. Non c’è altro dio all’infuori di Lui. La meta è verso di Lui» (XL, 3).
Nel versetto citato, il perdono appare come una prerogativa di Dio, non a caso vi si ribadisce che non vi è altro Dio al di fuori di Lui. La severità nel castigo è contemperata dalla magnanimità. Perdonare è un atto che attiene intimamente a quella misericordia di cui Dio dà prova nella creazione stessa. Al-Ghufran quindi riaccoglie nel movimento che porta verso la meta, ovvero Dio stesso, chi smarrendo la via verso di Lui, che non è altra cosa dalla via verso sé stesso, si è smarrito.
Così, il perdono permea il rapporto di Dio con coloro che credono in Lui e procede unitamente al propagarsi su tutte le cose della sua misericordia e della sua scienza. Infatti, nel settimo versetto l’invocazione del perdono per i credenti giunge dalle stesse coorti angeliche che celebrano la gloria di Dio: «Signore, la Tua misericordia e la Tua scienza, si estendono su tutte le cose: perdona a coloro che si pentono e seguono la Tua via, preservali dal castigo della fornace» (XL, 7).
L’immagine del fuoco eterno, comune alla rappresentazione più essenziale dell’aldilà riservato ai peccatori, anche nelle raffigurazioni delle altre religioni monoteiste, richiama la severità con la quale in molti luoghi del Corano si ribadisce come il perdono non sia garantito, e come la condanna possa essere senza appello. Comunque tale durezza vale soprattutto a sottolineare il grave disordine che il peccato procura a danno della grande adesione dell’uomo e del creato al gesto creatore di Dio.
«Sii paziente, ché la promessa di Allah è verità. Chiedi perdono per il tuo peccato e glorifica e loda il tuo Signore alla sera e al mattino» (XL, 55).
Il perdono va richiesto anche dall’uomo come complemento del suo glorificare e lodare il Signore lungo tutto lo svolgersi del tempo, santificandolo. Nel Ghufran quindi la misericordia divina s’incontra con la pietas, per usare un espressione latina, dell’uomo verso Dio, convergenza da cui procede il perdono come modo del rapporto fraterno tra gli uomini.
Secondo la tradizione raccolta da Tabari, a tre mesi dalla sua morte, Mohammad quasi si congeda dal popolo dei credenti indicando compiuto il suo compito. L’emozione che il suo discorso suscita nella folla si traduce in pianto per Umar Al-Khattab, futuro califfo, che intende come ciò significhi l’avvenuto oltrepassamento del punto più alto della parola del profeta. L’episodio corrisponde al contenuto di parte del terzo versetto della quinta Sura.
«Oggi ho reso perfetta la vostra religione, ho completato per voi la Mia grazia e Mi è piaciuto darvi per religione l’Islàm. Se qualcuno si trovasse nel bisogno della fame, senza l’intenzione di peccare, ebbene Allah è perdonatore, misericordioso» (V, 3).
Proprio nel momento in cui Mohammad avverte compiersi con la sua opera anche il suo tempo e quindi coglie la perfezione del suo lascito, fa seguire all’evocazione delle sue leggi, anche quella del possibile capovolgersi dell’Halal (illecito) in Haram (lecito) in caso di necessità, ultimo gesto in cui s’intrecciano misericordia e perdono. Frequentemente, il passo allude al compimento della missione di Mohammad che viene citato a conferma della sua rivelazione come sigillo del ciclo della profezia. Meno spesso si tiene conto delle ultime battute del versetto che propongono come parte della perfezione anche l’apertura delle norme sul concreto mutare delle condizioni di vita in cui essa deve essere compresa e adempiuta.
[cortesia Madrugada]
Sociologo della religione, Università degli studi di Padova.