La Lettera

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Noi che abbiamo attraversato l'Italia dei misteri in marcia verso il potere, un'Italia da bere che non ascoltava gli allarmi di Pasolini e Berlinguer. Si è rivoltata contro i magistrati e la commissione di Tina Anselmi. Ce l'ha fatta, per il momento. Ma ancora adesso resiste la rabbia di chi aveva votato Norberto Bobbio al Quirinale contro lo strano plebiscito (sinistra-destra) che ha affidato la Repubblica a Cossiga

Giancarla CODRIGNANI – Cossiga è morto, Gelli sta bene. Sapremo mai chi è il vero burattinaio della P2-P3?

26-08-2010

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Per caso ho riletto, proprio nei giorni della morte di Francesco Cossiga, l’intervista di Maurizio Costanzo a Licio Gelli (Corriere della sera, 5 ottobre 1980), riportata nel bel libro di Antonella Beccaria e Riccardo Lenzi “Schegge contro la democrazia”. Le trame e le insidie nel nostro paese sono state presenti da sempre e giustamente il libro si apre con la “madre di tutte le stragi”, Portella della ginestra, 1 maggio 1947. Tuttavia è negli anni Settanta e Ottanta che assunsero un carattere ancor più preoccupante, per la complessità della situazione politica destinata, come sappiamo, a produrre al rallentatore la fine della prima repubblica.

L’incubo del debito pubblico, gli “affari” di stato, Sindona, l’ombra di Kissinger, la crescita del Pci, poi la sconfitta del compromesso storico e dell’Eurocomunismo, le centinaia di attentati degli opposti estremismi, i governi Andreotti, Pertini al Quirinale (poi Cossiga!), l’uccisione di Pio La Torre e Piersanti Mattarella, il “caso” Moro, la morte di Berlinguer, i dubbi sui servizi e la P2, il congresso socialista di Palermo che proclamò per direttissima segretario Craxi, tre anni dopo presidente del consiglio, l’ingorgo del Caf e a tangentopoli… Profetica – e isolata anche tra i suoi – la denuncia – nel 1981! – di Enrico Berlinguer che osò nominare la “questione morale”, accusare “i partiti (che) hanno occupato lo Stato…”, affermare che “tutto è lottizzato… (siamo) alla guerra per bande…”.

Quanto a me, era stato l’attentato di piazza Fontana del ’69 a impegnarmi – verbo datato – nella sinistra, bersaglio di un anticomunismo strumentale che doveva condizionare la democrazia; poi, con l’aggravarsi progressivo della situazione, mentre il paese, dal divorzio allo statuto dei lavoratori, diventava sempre più consapevole di sé, approdai nella Sinistra Indipendente. Il Pci di allora era capace di cogliere il proprio interesse e prestare attenzione a quella che, poi, si sarebbe chiamata “società civile”, quella interessata a difendere, a fianco dei partiti, in autonomia i diritti, la giustizia sociale, la cultura democratica.

Anni di adrenalina politica continua: come Pasolini (sul Corriere della sera del 14 novembre 1974) potevamo “immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace” e sapevamo le responsabilità, i nomi, ma “non avevamo le prove”. Divenne centrale il ruolo della P2, nata non senza nessi fra il prima e il poi, che ancora genera sospetti e timori. Rileggendo l’intervista del 1980, ripensavo alla viscidume che aggrediva le istituzioni e al rigore di Tina Anselmi, consapevole più di chiunque altro della necessità di fare pulizia per salvare lo Stato.

La redazione di Maurizio Costanzo, allora piduista ignoto, illumina lo stile di Gelli, esplicito e sfuggente, apertamente antidemocratico e beffardo. “Da bambino che mestiere volevi fare da grande?”. “Il burattinaio”. Arriva un brivido, no? In un’altra intervista del 2003 su Repubblica Gelli, senza ragione chiede di chiudere con l’elogio dell’amico Francesco Cossiga. Ancora il brivido: che cosa voleva significare? Il buon amico di Gelli era uno che passava (e si faceva passare) per matto: giocava con i soldatini della sua ricchissima collezione e continuava a divertirsi con Gladio; confessava la birbanteria di aver allontanato di sotto il tavolo le scarpe che la principessa Diana a una cena si era tolte “per vedere che cosa succedeva”, ma provava anche a screditare l’estremismo rosso infiltrando provocatori e producendo disastri. Giorgiana Masi e Francesco Lo Russo dimostrarono “che cosa succedeva”. Davvero era un fan dello stile piduista, quasi un godere di giocare a fare il burattinaio.

La pietà per la morte non copre il ricordo di ambiguità non attribuibili – un matto non fa quella carriera – a scarso equilibrio mentale. Come ultimo scherzo Francesco Cossiga si è portato dietro gli spezzoni di verità che costituirebbero prove a carico dei nomi di cui parlava Pasolini. Né copre la mia perplessità su quella nomina plebiscitaria al Quirinale, appoggiata anche da un Pci ormai avviato sul piano inclinato delle mediazioni di potere gratuite. Pare che Natta si fosse pentito della decisione, ma chi allora ha votato Bobbio si arrabbia ancora.

Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature
 

Commenti

  1. Romolo Tamburrini

    Kossiga, una figura ambigua caratterizzata da artefatto infantilismo di estrema pericolosità. Neanche l’approssimarsi della ‘fine’ gli ha stimolato ad un modesto atto di dignità. L’ho sempre considerato un “omuncolo da strapazzo”.

  2. Lorenzo

    Molti segreti importanti se li ha portati dentro la tomba.Ne verremmo mai a conoscenza?

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