Tutti ormai conoscono il caso del paese di Adro (Bs), dove alcuni bambini sono stati esclusi dalla mensa scolastica per punire i loro genitori, che si permettono il lusso di essere poveri. Questo luogo, dove Cristo non si è mai fermato, ha un sindaco leghista, che era presente l’altra sera all’Infedele. Un tipo dalla faccia paciosa, che si è preoccupato di aggiungere alle sue malefatte ormai note anche la lettura di alcuni proclami razzisti. E, soprattutto, si è preoccupato di far sapere che il benefattore intervenuto a sanare il debito dei bambini, benché omonimo, non è suo parente. Non sia mai che qualcuno possa scambiare il sindaco leghista per un essere umano. Di fronte a questa tristissima vicenda, qualcuno tra i finiani presenti in studio si è dissociato, mentre ha approvato la prassi dell’amministrazione di Adro il pdl Stracquadanio, tristemente noto alle cronache televisive perché impedisce a tutti di parlare (e ai bambini anche di mangiare).
Si sa, il miglior veicolo pubblicitario è il calcio. Perciò il ministro Maroni ha pensato bene di apparire nei tg con la sua proposta contro la violenza negli stadi: non basta tenere fuori i tifosi violenti; bisogna impedire l’ingresso anche ai calciatori violenti. Chi non sa dare il buon esempio, fuori! Un’idea tanto bella che bisognerebbe applicarla prima di tutto alla politica e soprattutto ai leghisti. Chi fomenta l’odio e la violenza, con le parole o con i fatti, con gli scritti o con le ordinanze, fuori! A cominciare dal sindaco di Adro, il ridente paesino del Bresciano che ha dato in tv, davanti a milioni di italiani, l’esempio vivente di che cosa può diventare una comunità governata da un razzista. Cominciando fin dalla scuola elementare, dove non bisogna fare comunella in mensa con gli insolventi, perché il ministro Maroni, allargando un po’ la sua visione del mondo, tra poco chiederà le impronte digitali non più ai soli bambini rom, ma a tutti i bambini poveri.
Crisi d’amore in casa Pdl: quando si dice un “mal partito”…
Fa veramente paura l’odio che sprigiona dall’interno del partito dell’amore in questi giorni. E non perché ci preoccupi più di tanto la sorte di Gianfranco Fini. Se è riuscito a sopravvivere finora tra tanti amici del giaguaro, sarà in grado di resistere anche oggi. A fare paura sono i messaggi trasversali di tipo mafioso. Per esempio, il cecchino Sallusti (vice di Feltri al Giornale) ieri mattina a Omnibus ha sostenuto che questo gran parlare di Fini è esagerato, in quanto si farebbe un problema politico di quello che è un «caso psichiatrico». Insomma, il cofondatore del Pdl e presidente della Camera sarebbe un malato di mente e chissà che, un giorno o l’altro, a Montecitorio non arrivi un’ambulanza a portarselo via in camicia di forza. Magari tra gli applausi dei suoi, visto che, secondo Sallusti, quei pochi finiani rimasti, «bisogna vedere se sono disposti al sacrificio». Caspita, non vorranno mica torturarli per farli abiurare come Galileo?
Per fortuna noi spettatori eravamo preparati al peggio, dopo aver visto alcuni scontri notturni in tv, gentilmente replicati in tutti i talk show per la loro esaltante potenza espressiva. Lupi ululante (nomina sunt consenquentia rerum) ci aveva fatto capire abbastanza bene quanto fosse caldo il fronte interno al Pdl, il quale, per essere popolo e non partito, come minimo dovrebbe concedere a tutti i popolani iscritti il diritto di cittadinanza e di parola. Invece, abbiamo sentito il presidente del Senato dare lo sfratto al presidente della Camera, come fosse un suo inquilino moroso. Ma siamo rimasti scioccati, più che dalla ferocia delle parole, dalla crudeltà delle immagini. Soprattutto quelle in cui Berlusconi salutava uno a uno i fedelissimi della prima fila, e, per la tensione nervosa, non resisteva alla tentazione di prendere a schiaffi il povero Giovanardi, il quale sicuramente se lo merita, ma è un ometto di sessant’anni e noi non lo toccheremmo neanche con un fiore.
Noi umani abbiamo visto cose che un extraterrestre non potrebbe neanche immaginare. Abbiamo visto Fini che puntava il dito contro Berlusconi e Berlusconi che gli spiegava il conflitto di interessi, con queste professorali parole: «Se vuoi che il Giornale non ti attacchi, compratelo». Ma poi abbiamo visto anche tutto il resto: Bocchino che si reincarnava da un canale all’altro, ripetendo gli stessi concetti e la stessa interessante domanda: «Quanti hanno votato a favore della mozione Berlusconi?». Perché, in effetti, nessuno lo sa. E meno degli altri lo sa Sandro Bondi, responsabile di un partito che non è un partito, ma un popolo sotto padrone. Un popolo così cagionevole che non sopporta correnti (d’aria), come ha spiegato Paolo Bonaiuti. E non sopporta neppure gli iscritti, visto che, sempre secondo Bondi (a Otto e mezzo), gli iscritti sono pericolosi, soprattutto in alcune zone del Paese. In Padania per esempio, molto meglio lasciarli alla Lega.
Dorfles e Fruttero, uomini liberi nell’Italia dei berluscloni
Nel programma di Fabio Fazio, due serate di seguito con due grandissimi vecchi: Gillo Dorfles e Carlo Fruttero. Entrambi asciutti, affilati e allegri, senza paura del “tempo che fa”, o di quello che farà. Ad avere paura invece siamo noi: paura che ci vengano a mancare anche loro e che ci tocchi restare in un mondo di berluscloni senza memoria e senza vergogna, capaci di vantarsi di non leggere un libro, di minacciare i nemici della mafia e di elogiare l’ignoranza razzista dei «territori» inventati per non pagare il dazio alla Storia. Dorfles ha esibito con ironia i suoi pregiudizi sulla jella e i suoi sempre nuovi progetti di studio. Fruttero ha fumato in diretta, fregandosene dei precetti salutisti e soprattutto raccomandando di rileggere ogni anno Pinocchio. Un testo straordinario, nel quale un burattino di legno impara a essere un bambino in carne e ossa. Mentre oggi tanti uomini in carne e ossa sono burattini di legno nelle mani di un ricco Mangiafuoco.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.