Lo scontro, a livello mediatico, è sintomo di dibattito e confronto. Magari radicale, ma sano perché chiunque può esprimersi, criticare, rispondere. Ma politica, giornalismo e comunicazione hanno bisogno di una profonda riforma
Da Montanelli a Santoro: senza conflitto non c’è informazione
03-11-2010
di
Marco Lombardi
In una vecchia intervista ritrasmessa da Giovanni Minoli per uno speciale sul caso Mattei, Indro Montanelli spiegava i retroscena della campagna mediatica che il Corriere della Sera lanciò contro il presidente dell’Eni, su pressione del fronte politico ed economico che non ne tollerava la spregiudicata politica industriale. Il manager marchigiano, per tutta risposta, fondò e finanziò una propria testata a mezzo stampa, Il Giorno. Il resto della storia, con il suo drammatico epilogo mortale, è noto ai più.
Mass media e potere sono indissolubilmente legati assieme ed è banale ribadirlo, ma considerare questo legame solo come un freno al buon funzionamento democratico sarebbe sbagliato. L’esercizio pieno e consapevole della cittadinanza trae energia dalla competizione visibile dei diversi interessi e punti di vista sociali, che proprio nel sistema di comunicazione trovano adeguata sede per una fruttuosa combustione. Affinché però la miscela del confronto sia di buona qualità, sono necessari almeno due presupposti.
Il primo presupposto, di ampia natura politica, concerne la varietà degli interessi che occupano i canali di comunicazione. Se la varietà è troppo limitata urge un correttivo, che può intervenire a monte, rafforzando il sistema di rappresentanza pubblica delle componenti sociali e stimolando continuamente la diversità di pensiero e la sua strutturazione in gruppi organizzati, oppure a valle, verificando se l’effettivo pluralismo non finisca poi soffocato da mezzi di comunicazione concentrati nelle mani di pochi centri di potere.
Il secondo presupposto riguarda la cultura giornalistica, esercitata da chi informa e pretesa da chi è informato, che deve contemplare la fedele attinenza ai fatti. Le notizie dovrebbero scaturire dall’interpretazione, legittimamente parziale, di un evento realmente avvenuto e sul cui svolgimento il narratore, o chi per lui, non abbia esercitato influenze di alcun tipo. Costruire una notizia su un evento falso o, peggio ancora, agire in modo che un evento accada o che segua il percorso più favorevole per l’interesse specifico di chi lo descrive, è un cattivo modo di fare informazione e un danno per la democrazia.
In conclusione, ben venga un sistema di comunicazione vivacemente conflittuale. Non solo, anche una dialettica nei mass media basata più sullo scontro fra poteri che sul diritto-dovere all’informazione può essere fisiologico ad una sana democrazia, purché a tutte le parti siano offerte congrui spazi di difesa ed attacco, secondo canoni di correttezza e serietà.
Marco Lombardi, nato nel 1977, laurea in Scienze Politiche conseguita alla Cesare Alfieri di Firenze, vive da sempre nella cintura del capoluogo toscano, dove attualmente si occupa di politiche sanitarie. Ha lavorato nel settore delle politiche sociali, seguendo progettazioni in materia di politiche giovanili, adolescenza, sport, immigrazione e cooperazione internazionale.