Gianfranco PASQUINO – Dalla parte del Presidente Napolitano, e non soltanto per onore di “firma”
21-06-2010Sono assolutamente convinto che il Presidente della Repubblica possa e, in qualche caso, debba essere criticato per quello che fa, per quello che non fa, per quello che dice e per quello che dimentica di dire. Per usare il politichese, sì, qualsiasi Presidente deve, quando è necessario, essere “tirato per la giacchetta” purché vengano convincentemente argomentate le ragioni che giustificano lo strattonamento e purché sia chiara la direzione nella quale lo si vorrebbe indirizzare. In questa prospettiva, le ragioni contingenti e particolaristiche mi sembrano sempre e sono davvero piuttosto deboli. Dunque, non intendo affatto unirmi ai critici, puri e duri (almeno nella loro autovalutazione) che vorrebbero che il Presidente Napolitano non autorizzasse mai nulla di quello che il governo Berlusconi cerca malamente di fare. Bisognerebbe, anzitutto, con grande attenzione e con altrettanta conoscenza della Costituzione, valutare quali sono i poteri reali del Presidente nei confronti del governo e del Parlamento. Il Presidente autorizza la presentazione dei disegni di legge di origine governativa e promulga con la sua firma le leggi approvate dal Parlamento. Può bloccare e ritardare entrambi i tipi di provvedimenti qualora ravvisi profili di incostituzionalità, ma li deve argomentare pubblicamente, anche, eventualmente, inviando un messaggio alle Camere. Dopodiché, come, con un po’ di legittima irritazione, ha correttamente rilevato Napolitano se governo e Parlamento procedono alla cosmesi dei loro disegni di legge, i suoi poteri di intervento vengono praticamente meno.
Mi soffermo soltanto su questo punto perché è quello che spinge i troppi critici, sempre duri e sempre puri, ad accusare Napolitano di chi sa quali nefandezze. Propongo, invece, ai critici che non leggano soltanto se stessi, di prendere in considerazione la complessità della politica. In primo luogo, nessuno di noi sa quante volte il Presidente della Repubblica e i suoi consiglieri sono (non uso appositamente il congiuntivo) intervenuti in via informale su quello che in via altrettanto informale governo e maggioranza parlamentari gli comunicavano, mirando probabilmente a strappargli un qualche assenso preventivo, che gli avrebbero poi sottoposto. E sono assolutamente sicuro che in molte occasioni, puntigliosamente, come è coerente con lo stile della sua esperienza politica di sessantanni, il Presidente ha espresso le sue critiche, le sue controproposte, le sue valutazioni. Intendiamoci, questo non è co-gobierno e non è neppure interferenza. È l’interpretazione corretta di colui che è il guardiano della Costituzione. Alcune altre volte, non sappiamo quante, Napolitano ha dovuto confrontarsi personalmente con Berlusconi. Non soltanto per le differenze di stile, sono sicuramente state esperienze sgradevoli per il Presidente. L’amaro calice dello scontro con un governante tanto sbrigativo quanto incompetente è stato bevuto fino in fondo da Napolitano per cortesia e correttezza istituzionale, ma anche per informare il capo del governo sui limiti invalicabili delle sue azioni.
Ammetto che, qualche volta, anch’io avrei auspicato maggiore durezza e maggiore resistenza, ma, per l’appunto, sapendo di essere in una situazione nella quale non posseggo tutti gli essenziali elementi di fatto per un giudizio fondato. Ho pensato allora e continuo a pensare che Napolitano agisca in base a due considerazioni. Il Popolo della Libertà ha vinto alla grande le elezioni. Il suo governo è legittimato a tradurre in leggi il programma che ha sottoposto agli elettori. Il Presidente della Repubblica non può impedirglielo tranne nei casi di palesi e plateali violazioni della Costituzione. Può richiedere modifiche e richiamare al senso di responsabilità. Può ricordare al governo che il Presidente non è il suo nemico politico, ma che “rappresenta l’unità nazionale” e in questa veste esprime opinioni che, rispettose della Costituzione, debbono essere rispettate e prese in seria considerazione. Ad un certo punto, inevitabilmente, il Presidente Napolitano si arresta. Non può, ma soprattutto non vuole che la Presidenza della Repubblica venga trascinata in uno scontro istituzionale frontale con il governo e il suo Presidente. Non si difende in questo modo la democrazia. Si rischia, in quel tipo possibile di scontro, di ferirla e di indebolirla. Capisco e apprezzo il Presidente. Quando desidero criticarlo penso che interverrei sul merito dei decreti e dei disegni di legge che ha firmato, fiducioso che il Presidente abbia fatto il possibile per renderli compatibili con la Costituzione nella consapevolezza che una maggioranza di italiani ha scelto con cognizione di causa proprio quel governo e quel capo di governo, e che, alla fine della ballata, ad esprimersi ci saranno, prima, la Corte Costituzionale, poi gli elettori italiani, sperabilmente informati e non soltanto indottrinati da una smandrappata opposizione. E che non tocca al Presidente della Repubblica fare il capo dell’opposizione parlamentare, sociale, extraparlamentare, intellettuale, e così via. Su questo punto non vado oltre tranne augurare a me e al paese che l’opposizione impari presto ad agire con scienza e coscienza.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).