Quei ragazzi davanti ai carri armati al Cairo, a Tunisi. Quei ragazzi sulle piazze del Mediterraneo forse, credo, oggi sono l’unica voce di fronte alle balbuzie di un linguaggio della politica, che vive nel rumore. Un fragore che non sa uscire da se stesso. Prigioniero di un nastro di registrazione ascoltato alla rovescia. Che non sa più parlare, in Egitto, come in Italia, come in Francia, a Occidente come ad Oriente, sotto il velo di una crisi, in cui il linguaggio di chi ha il potere è afono; resta sotto la soglia di un rumore sgradevole, sdegnoso, assordante. Qualcosa ormai di inascoltabile, che nessuno più dai canali televisivi, ai giornali, riesce più a sopportare, perché lontano, insignificante, privo di umanità. Un linguaggio fatto, scilinguato ad effetto. Che ottunde. Proviene da sarcofagi di comunicazioni remote, ormai datati, irricevibili da un mondo di giovani, di ragazzi, di nuove generazioni che non sono più disposti ascoltare. Che lo rifiutano.
Minestra vomitata e rimangiata, in maniera angosciante. Che ha dentro di sé tutto il carico e la stratificazione dei vari piani di potere, di interessi, di meccanismi che dominano e imprigionano il mondo. Una incapacità quasi della nostra epoca di uscire fuori da se stessa. Di dire la verità. Parlarsi. Rappresentarsi. Uscire dalla crisi in cui si è cacciata, che tutti si sono affrettati nel decennio passato, a chiamare scontro di civiltà. Un mondo dove, come dire, tutte le uscite sono bloccate. Dove nessuno può muoversi. Dove tutti devono pensare sia inutile muoversi. Dove nessuno è in grado di dire. E ogni volta che dice è reso tutto afono.
Di fronte a tutto questo, all’improvviso, come un miracolo, come la luce dei mandorli in un giorno di primavera, i ragazzi del Mediterraneo in Egitto, in Tunisia, in Algeria, in Albania, scendono in piazza, trovano una voce, lanciano un grido, sormontano il valico dell’afonia sotto cui sono, siamo seppelliti, e gridano il proprio no! all’afonia. Ma anche il proprio sì alla speranza, per riprendere il bandolo dalla matassa. Sicché la piazza ritrova la sua voce nell’unità e anche nella non violenza. Due milioni di persone, giovani, vecchi, bambini, famiglie, si sono riunite nella piazza principale del Cairo, per ritrovare la propria voce, far uscire il potere dalle sue contraddizioni.
Infine smentire tutte le sciocchezze ideologiche che vogliono i musulmani incapaci di chiedere e costruire la democrazia. Sì. Adesso ci siamo. Tutti i paesi musulmani sulle rive mediterranee sono in movimento. Sono in movimento con l’ottanta per cento della loro popolazione fatta di giovani, giovani in cerca del loro futuro. E allora, vedremo se l’Italia, l’Europa, sapranno davvero, prestare ascolto, oggi, subito, alla loro voce, non violenta, pacifica, lucida, che chiede democrazia, per sconfiggere i falsi profeti da una parte e dall’altra, a Occidente e a Oriente, cui conviene, dimostrare che questi Paesi mai saranno capaci di libertà, democrazia e per sempre chiusi nell’integralismo e nel terrorismo.
Giuseppe Goffredo, poeta e scrittore, è direttore editoriale di Poiesis Editrice.