Bertoldo e il re Alboino. Da giullare a Sultano. Una volta al mese al tribunale: di lunedì seguento contestualmente 4 processi. Salvo varie ed eventuali. Condannato all’impaccaggione si sceglie l’albero: una piantina di basilico. Alboino, re dei Longobardi, se ne andava, un giorno, con la sua corte, a cavallo per il Regno, quando, vicino a uno spiffero di fumo del camino di una locanda, vide un villico (contadino) che passava e ripassava una fetta del suo pane nero di segale nel fumo, per insaporirlo. Quando spiegarono al re cosa stesse facendo il villico, il re gli intimò: “Per quello che fai , fuori tre soldi per le tasse!”.
Con Alboino non si scherzava: non ci si metteva molto a giocarsi la testa! Il villico, che di nome si chiamava Bertoldo, non si scompose più di tanto: mise una mano nella sua palandrana ed estrasse una moneta, la sbatté contro una pietra, facendola tintinnare, e ripose la moneta dove l’aveva presa, sentenziando: “Sire, per pagare il fumo,basta il tintinnio …”.
I cortigiani già pensavano di vedere la testa del malcapitato rotolare, quando il re fece entrare Bertoldo nell’osteria e ordinò che gli fosse servito un intiero pollo arrosto e ammonendo Bertoldo: “Bada, villano, che qualsiasi cosa tu faccia a questo pollo, io lo farò a te!”. Bertoldo guardò per un attimo il re, introdusse la mano nel pollo, dalla parte delle viscere e si mise in bocca ciò che ne estrasse… “Ecco, Sire, fallo a me ora ciò che io ho fatto al pollo…”. Al re Alboino venne un riso tale che si rotolava per terra… E, da allora, se lo tenne alla corte come giullare e sbellicandosi dal ridere alle mille trovate di Bertoldo : una ne faceva e cento ne pensava, tantocché valse il detto “farne una più di Bertoldo…”. E così anche tutto il regno ne godeva, poiché Alboino veniva distratto dalla sua ferocia.
Ma… c’era un “ma”! Bertoldo mai e poi mai accettò di inchinarsi alla regina, non ostante gliene facessero di tutti colori per farlo inginocchiare e, avendogli abbassato la soglia della porta della sala del trono, egli vi accedeva camminando all’indietro. E così il re fu costretto , suo malgrado, a condannarlo a morte!
Bertoldo chiese ed ottene, come ultima grazia, di essere impiccato a un albero di suo gradimento (Lodo Bertoldo). Passarono anni e anni e furono anni tristi, perché il re non rideva più e scatenò tutta la sua ferocia! Un giorno uno strano corteo entrò nella città: erano Bertoldo e gli esecutori della sentenza di morte, impolverati, logori e stanchi. Re Alboino si infuriò e quasi fece decapitare i suoi soldati: “Ma come” sbraitò, “ancora non mi avete appeso costui? Appendetemelo subito!”. I soldati riferirono che in tutto il regno non avevano trovato un albero che piacesse a Bertoldo … e allora lui estrasse una pianta di basilico in vaso dalla palandrana e disse al re, ricordandogli la grazia accordatagli: “Sire, per averlo trovato, io lo ho trovato … ma che fretta c’è? Lasciate che cresca, no?”.
Bibliotecario al Corriere della Sera e giudice di pace. Ha pubblicato vari libri di poesie, l'ultimo si intitola "Pandosia".