L’Eba (acronimo di Autorità bancaria europea) compie questo mese un anno di vita dopo aver assunto ufficialmente dal 1°gennaio c.a., le funzioni del Cebs (acronimo per Committeee of European Banking Supervisors), con i conseguenti obiettivi:
- a) la stabilità finanziaria dell’Ue;
- b) la trasparenza dei mercati finanziari;
- c) la validità dei prodotti finanziari ; d) la tutela dei depositanti e dei risparmiatori.
Non crediamo tuttavia di manifestare, nel suo primo compleanno, particolare compiacimento per i criteri con cui l’organismo ha operato in questo suo primo scorcio di attività. Il trattamento riservato infatti da Eba al sistema bancario italiano, per quanta severità quest’ultimo possa meritare, non emerge in fatti come esemplare, nei confronti delle banche europee, in rapporto ai criteri di equanimità cui il nuovo organismo risulta ispirarsi.
A dispetto della circostanza di essere attualmente presieduta da un nostro connazionale, Andrea Enria, ex responsabile dell’Ufficio di Vigilanza di Bankitalia, l’Eba ha infatti adottato metodi di valutazione dei titoli di debito sovrani, in portafoglio degli Istituti operanti nell’Ue, che appaiono molto discutibili. L’aver specificamente assunto per i debiti sovrani una valutazione corrispondente al loro corrente prezzo di mercato (mark to market) ha indubbiamente penalizzato l’Italia, il cui debito sovrano attraversa tuttora una lunga fase di quotazioni calanti per le retrocessioni ufficializzate dalle “tre big” agenzie di rating internazionali.
L’Italia o, meglio, le banche italiane hanno dovuto subire di conseguenza un abbassamento dei propri indici patrimoniali, mentre gli istituti francesi e tedeschi, peraltro assai più gravati, rispetto alle banche italiane, dai titoli di stato greci, hanno potuto, grazie ai criteri suesposti, largamente coprire le minusvalenze derivanti dal loro abbassamento di valore. Se si fosse adottato invece un criterio di valutazione basato invece sul valore di realizzo a scadenza – o quanto meno mediato e temperato con esso – la musica poteva essere diversa: adesso non sarebbe così stringente l’obbligo per gli istituti di credito primari italiani (Mps, Intesa, Unicredit) di dover ricorrere a una forzosa e tutt’altro che facile ricapitalizzazione.
Adesso accade, soprattutto, che i nostri maggiori gruppi si trovano indeboliti nei confronti di gruppi europei con presumibile caduta di autorevolezza della stessa Banca d’Italia, per una sua non piena adeguatezza a contrapporre argomenti, non certo infondati, nelle circostanze sopra menzionate. Tenendo aggiuntivamente presente che, in portafoglio, i grandi gruppi stranieri hanno percentuali di titoli tossici ben più elevati di quelli in carico alle banche italiane, non sarebbe auspicabile una replica di ipotesi già verificate per istituti di credito nazionali divenuti facili preda di istituti stranieri a loro volta, successivamente, costretti al fallimento.
Lo ricorda significativamente il caso della franco olandese Abn Amro che, comprata quasi a vil prezzo Anton Veneta, venne poi assorbita da due banche (Royal Bank of Scotland e la belga Dexia) a loro volta, recentemente, indotte a portare i libri al tribunale.
Pierluigi Sorti, 76 anni, economista, studi all'estero. Dirigente d'azienda e docente esterno universitario in materie aziendali, per circa dieci anni, a Napoli, Urbino e Roma. Promotore di iniziative di carattere sociale, ha collaborato per tre anni, fino alla chiusura, con la rivista socialdemocratica "Ragionamenti". Socialista in gioventù, oggi è un militante PD, già iscritto ai DS dal congresso fondativo (Firenze 1998). Alle “primarie” del 25 ottobre 2009 non ha sostenuto nessuno dei tre candidati alla segreteria del PD.