In Eritrea non esistono alcune donne particolari, non esiste una figura originale, non esiste una donna emergente. In Eritrea TUTTE le sue donne sono particolari, originali ed emergenti.
E così ho preferito portarvi, anziché casi particolari, la storia del popolo delle donne eritree. Quelle che da sempre continuano a mantenere in piedi il minuscolo e stupendo paese che è l’Eritrea…
Voglio parlarvi di queste donne, di queste bisnonne e nonne, di queste madri e sorelle che da sempre hanno fatto la nostra storia, che da sempre tessono caparbiamente la tela della vita, la tela sempre pronta per accogliere la vita, per avvolgere e coprire la stanchezza, per detergere la fatica quotidiana, per scaldare il cuore e per ornare la naturale bellezza di un volto.
E non è poesia: spesso anzi è sofferenza cruenta, è doloro inenarrabile, è caparbietà, è una fede che si acquisisce all’ombra delle rocce di cui è ricca l’Eritrea.
E’ necessario far emergere dal fango di un’informazione che deteriora la vita del continente quel volto dell’Africa che sta in piedi: quello delle sue donne, e riconoscere finalmente che hanno una loro voce e vogliono farsi ascoltare.
A volte ci chiedono: cosa volete? Vogliamo spazi nell’informazione, nella società, nella politica, nella chiesa. Spazi concreti, non pie promesse o esortazioni. Desideriamo spazi dove l’incontro tra donne e uomini, tra donne del sud e donne del nord, tra donne del sud e altre donne del sud diventi un metodo di lavoro e porti alla creazione di progetti nei quali tutti e tutte ci sentiamo protagoniste, partner.
Vorremo dire basta a scorrazzamenti giovanili che puntualmente ogni estate piombano nei nostri villaggi per insegnarci a rendere invivibili le nostre società…
Tornando alle donne eritree…
Ne hanno viste tante le donne eritree: invasioni, colonialismi, guerre e poi ancora guerre: figli, padri, mariti, fratelli, e poi anche figlie, madri, sorelle, andare al macello per difendere il lembo di terra sacra. Quante lacrime e quanti lutti, eppure eccole pronte a regalare pace, a ornare d’ulivo la casa per il ritorno di chi è partito, eccole pronte a riempire l’aria di trilli di gioia, per non dare l’impressione a chi sta usurpando i tuoi diritti, che ti stai arrendendo. Hanno definito quella delle donne eritree una fede granitica: che va all’essenziale e che la aiuta a rimanere in piedi.
Il lembo di terra non dà più garanzia di sussistenza? Eccole tra le prime immigrate d’Africa verso l’Europa: eccole prendere il coraggio a due mani, e partire, verso mari e terre lontani, ostili molte volte, ma vanno, a testa alta e aprire nuovi cammini, vie d’uscita. Il prezzo da pagare è alto, ma non cedono: in palio la sopravvivenza di un popolo: sì, perché se non ci fossero state le donne delle diaspora non avremmo avuto né indipendenza né sussistenza.
Hanno in mano le redini della vita, fatte filo di cotone: e tessono tenacemente trame di futuro dignitoso.
Ed è per questo che mi piace abbinare questa icone del filo e della tela alle donne dell’Eritrea intente a tessere: Mentre con una mano quasi accarezzano il cotone, con l’altra fanno girare velocemente la spola e intanto si tramandano storie infinite: le guerre, il figlio andato via, le cavallette, i mozziconi di pace, la pioggia che tarda a venire, l’amore, le delusioni, le vittorie e ancora guerre. E mentre la tela si fa e ti copre, teneramente ne rimani avvolta e coinvolta.
Loro, le donne eritree, progettano nuovi sogni per non far morire il popolo.
Questa è la trama di cui è impregnato il nostro nezelà di cotone… quello con cui vedete girare ogni donna eritrea, anche tra le strade di questa Europa qualche volta miope e spesso incapace di andare oltre a ciò che vede…
Ed è così che ci si tramanda la grande missione, attraverso i tenui ma forti fili di cotone che diventano poi i nezelà che non abbandoniamo mai, perché sono impregnati di sudore, di utopie, di ricordi, di scommesse e di sconfitte, ma anche di tanta tenacia e caparbietà: quella stessa che dà alle donne eritree il coraggio di girare i mondi, in cerca di pace, o semplicemente in cerca di sé stesse, avvolte in un nezelà, tenue ma forte simbolo della loro dignità e delle loro infinite storie di vita.
E solo per questa ragione che l’Eritrea, minuscolo paese in bilico tra mare e terra, sconquassato da guerre, calpestato da ideologie e invasori, è in piedi e non soccombe. Sono le sue donne che la sostengono attraverso sottili e tenaci fili di cotone… non un filo rude, duro, ma sofficie, leggero… come leggera è la loro incredibile tenerezza, che dà la forza nonostante tutto ad avere ancora in serbo lacrime per detergere e irrorare il cuore dei loro uomini… e sorrisi per dare speranza ai figli e figlie dell’Eritrea.