Gianfranco PASQUINO – Fini organizza il futuro, Berlusconi non ne ha
06-09-2010È sbagliato leggere e interpretare l’ampio, duro, articolato discorso di Fini schiacciandolo tutto su un unico interrogativo: continuerà a sostenere il governo? Questa lettura riduttiva significa non capire che da un po’ di tempo a questa parte, ma, in qualche modo, addirittura da quando Fini ha portato il suo partito a trasformarsi per entrare nell’area di governo, ha anche cominciato un percorso non soltanto personale, peraltro, importantissimo, ma anche politico, che può essere addirittura più importante per la destra italiana e per il nostro sistema politico. Bisogna, dunque, tenendo conto della congiuntura, guardare alla struttura. Fini è un politico di professione che, come ha ricordato lui stesso a tutti coloro che lo hanno seguito in questi anni e “ai colonnelli e ai capitani” che si sono messi al servizio di un altro leader, ha fatto una carriera politica impensabile. Vice-Presidente del Consiglio, Ministro degli Affari Esteri, Vice-Presidente della Convenzione Europea, Presidente della Camera, tutti compiti svolti con competenza e con stile. Nei due anni in cui è stato Presidente della Camera, dal cui scranno forse si vedono meglio sia il teatrino della politica sia il ruolo delle istituzioni, si è reso conto che tanto la struttura del partito, il Popolo delle Libertà, quanto l’azione di governo soffrono di mali molto seri.
Fini ha dato credito al partito del predellino, accettando di votare anche leggi obbrobriose. Ci ha messo un po’ di tempo ad accorgersi che l’apertura di credito non era meritata. Quindi, ha cercato di fare valere il suo dissenso all’interno del PdL. Ha subito il trattamento stalinista-padronale che Berlusconi e i suoi scherani infliggono a chi non la pensa come loro. In realtà, gli scherani non pensano. Chinano la schiena e si rimangiano senza nessuna, proprio nessuna vergogna né doverosa autocritica tutto quello che hanno affermato spudoratamente: dalle intercettazioni al processo breve. Qui sta il primo compito che Fini ha deciso di affrontare: tentare di cambiare le politiche di questo governo. Per essere efficace, deve rimanere, rispettando il voto degli elettori di centro-destra, dentro quell’area, ma vuole imporre una concreta rinegoziazione del programma, a partire dai cinque punti ai quali Fini ha giustamente aggiunto: ridisegno del welfare per le famiglie, interventi a sostegno dei giovani, nessun taglio alle forze dell’ordine, una politica industriale. Quale influenza avrebbe se lasciasse il governo come esige qualche barricadiero esponente della sedicente sinistra pura e dura? Fini è un politico che sa fare politica e che ha deciso di sfidare il populismo di Berlusconi senza dargli nessun appiglio.
Con le sue precise rivendicazioni programmatiche, con le prese di posizione sull’immigrazione, sul garantismo che non può diventare impunità, a favore di una etica in politica e con il riconoscimento del ruolo cruciale della magistratura, Fini tenta la costruzione di una destra che definirei “normale”, decente, europea. Il Popolo delle Libertà non è mai diventato quel partito. Adesso, Fini afferma che non esiste più. Con qualche esagerazione, ricca di apprezzabili intenzioni, Fini dichiara di volere costruire un “partito liberale di massa”. In Italia questa destra non è mai esistita né Berlusconi, con i suoi richiami di pura propaganda ai “moderati”, è mai stato interessato a costruirla. Comunque, non ne sarebbe capace. Fini ha anche introdotto un tema che riguarda tutti i partiti: il diritto al dissenso. Straordinariamente brillante e efficace la notazione che in democrazia non può esistere l’ortodossia e, di conseguenza, non può esservi l’eresia. Tutto questo è puro fumo negli occhi per Berlusconi il quale, peraltro, avendo già “cacciato” il co-fondatore Fini dal PdL, sarà adesso costretto a negoziare con i quarantaquattro parlamentari di Futuro e Libertà uno per uno tutti i suoi disegni di legge. La disponibilità di Fini a discutere a fondo il federalismo significa che anche la Lega dovrà trattare con lui e non potrà fare la sponda a nessun intervento azzardato di Berlusconi.
Insieme ad un’idea di partito che, inevitabilmente, riuscirà a tradursi in qualche cosa di concreto soltanto sconfiggendo Berlusconi, di grande importanza è l’altro ruolo che Fini sembra essersi ritagliato: quello di predicatore (di destra, ma forse, direi , meglio, nazionale) del senso civico, dell’etica del dovere, di una visione di unità d’Italia aliena da qualsiasi esaltazione acritica del nazionalismo. Le scomposte reazioni degli ex-colonnelli del Presidente della Camera e degli scherani di Berlusconi che ricorrono alle sole armi che sanno usare, e neppure abbastanza bene, ovvero lo screditamento della persona (character assassination), non riescono neppure a mascherare il loro assoluto vuoto di elaborazione politica e, in questo caso, anche di incomprensione di un disegno. Quello di Fini è un disegno legittimo, ma molto ambizioso. Deve essere svolto dentro la destra, ma può attrarre anche i “moderati”. Costituisce una sfida, seppure indiretta, anche alla sinistra affinché costruisca un partito decente e “normale”, nel quale si pratichi la democrazia interna, che non significa competizione/collusione fra oligarchie, e che sappia a sua volta fare predicazione di senso civico e di adempimento del dovere. La sfida si estende anche alle politiche poiché nel centro-sinistra non basterà più vantare una presunta superiorità morale. Anche se ce n’est qu’un début (ovvero, è soltanto un inizio, per dirla con uno slogan sessantottesco degli studenti di Parigi), e “Futuro e Libertà” ha ancora molta impervia strada da compiere, a me pare un inizio molto promettente.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).