Da Caracalla, l’opera verdiana e l’Aida, trionfo dell’egoismo fatto uomo
11-08-2011
di
Caterina Renna
Uno spirito arguto mi faceva notare qualche tempo fa come Gioacchino Rossini fosse musicista adatto all’estate mentre Giuseppe Verdi all’inverno. Con un’eccezione: Aida. Aida è probabilmente l’opera più rappresentata nelle arene estive perché è un’opera che ha vita a sé: è l’opera canicolare di un Verdi sessantenne che ama con l’ardore e la generosità di un ventenne, e profonde questo amore nella musica. Gli spettatori se ne sentono attratti in maniera inesplicabile: saranno le malie africane che ci riportano al grembo materno, i numerosi balletti da grand-opéra, la vicenda di sentimenti vecchi eppure sempre nuovi? Sarà questo Verdi vivificato e rinnovato dall’amore?
Giuseppe Verdi poche volte dedicò i propri lavori a qualcuno: il Nabucco all’arciduchessa Adelaide d’Austria, futura sposa del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II; I Lombardi alla prima crociata a Maria Luigia di Parma; il Macbeth ad Antonio Barezzi suo suocero e mecenate; Jerusalem alla sua seconda moglie Giuseppina Strepponi. Aida la dedicò al soprano boemo Teresa Stolz, forse la sola donna che gli fece perdere davvero la testa. Si sa che gli amori degli uomini ‘in età’ sono fuochi che non si possono spegnere, pena l’estinzione di ogni afflato interiore. Perciò bisogna tenere viva la fiamma a qualsiasi costo.
L’uomo giovane fa soffrire per incoscienza, l’uomo vecchio per egoismo. Così fu per l’anziano Verdi innamorato della giovane Stolz: lui Radames, lei la bella schiava etiope, e la moglie Giuseppina una Amneris che, non avendo ottenuto il favore del guerriero, lo condanna a morire. Eppure Amneris ne esce sconfitta: persino nell’ipogeo i due amanti sono vicini e ribadiscono il proprio amore mentre lei rimane sola e piena di rimorsi. E Giuseppe Verdi e la Stolz proseguirono la loro relazione incuranti del dolore e della solitudine di Giuseppina. Di questi ménage à trois è pieno il mondo di ogni epoca, ma non tutti danno poi vita a capolavori come Aida: così durante l’ascolto si accantona la solidarietà per la Peppina e ci si fa catturare dalla musica che prende il sopravvento su tutto il resto.
La cinquantesima edizione dell’opera verdiana a Caracalla (era il 1938 quando le Terme divennero il teatro lirico estivo dei romani e da allora quasi ogni anno Aida è stata nel cartellone), ha avuto un buon successo. Diretta brillantemente dal giovane maestro israeliano Asher Fish ha visto tra gli altri applauditi interpreti: Gabriela Georgieva una partecipe Aida, Francesco Anile un accattivante Radames, Alberto Mastromarino un efficace Amonasro e Giovanna Casolla che ha dato un’impronta di vera umanità alla sua Amneris. Bravi anche Rafal Siwek (Ramfis) e Luca Dall’Amico (il re). Una menzione particolare alle coreografie del danzatore-regista Micha Van Hoecke che hanno saputo sopperire alla mancanza di grandeur degli apparati scenici di passata memoria. Lo sfarzo è stato ampiamente compensato dalla regia coreografica e dalla bravura del corpo di ballo molto apprezzato dal pubblico.
Caterina Renna è nata e vive a Roma. Giornalista e scrittrice ha sempre pubblicato per le pagine culturali (critica letteraria, teatrale e musicale) de 'Il Tempo' e dell'ormai scomparsa rivista 'La dolce vita'. Dopo una tesi di laurea in critica letteraria sul giallista romano, Augusto De Angelis morto in seguito alle percosse inflittegli dai fascisti, si è appassionata a questo genere 'minore' ed ha scritto un romanzo poliziesco ambientato nella capitale (ora pubblicato online da Feltrinelli) dal titolo 'Cronaca di Roma VI pagina', nonché vari racconti pubblicati da Giulio Perrone Editore. Ha ricevuto una speciale menzione per un suo racconto nell'VIII edizione del Premio Nazionale Narrativa Poliziesca 'Orme Gialle' di Pontedera. Si accinge a completare una serie di racconti dal titolo 'Razzismi' molto in tema con gli avvenimenti odierni.