Selezione sociale: trasformare i ragazzi di terza media in apprendisti obbliga a scelte precoci, con nessuna garanzia per un futuro lavoro. Manna per le imprese, che possono godere di personale sottopagato senza obbligo di assunzione
Viene riproposta dal Governo l’estensione dell’apprendistato al di sotto dei sedici anni come equivalente e sostitutivo dell’istruzione e formazione obbligatoria (obbligo formativo). L’apprendistato è un particolare contratto di lavoro che, unico nel suo genere, ha una parte obbligatoria di formazione e viene definito per questo a causa mista.
Il lavoratore in apprendistato, nella stragrande maggioranza dei casi, svolge un lavoro dequalificato all’interno di piccole o piccolissime imprese dove l’unico modello educativo è l’apprendere per imitazione (affiancamento) e con lo strumento della gerarchia. L’apprendista, inoltre, rappresenta anche il tipico lavoratore sottopagato e precario: per legge può essere retribuito fino a due livelli salariali in meno della mansione per cui viene assunto e non ha nessuna garanzia di assunzione futura. Nella crisi attuale sono stati i primi ad essere licenziati.
Il datore di lavoro è tenuto a far svolgere almeno 120 ore di formazione all’anno. Avere un contratto di accesso che garantisca anche una quantità certa di formazione potrebbe essere una buona idea. Nella pratica, non è così. Le 120 ore di formazione possono essere svolte all’interno dell’azienda cosiddetta formativa anche, attraverso il normale lavoro e controllata da un tutor.
Tale modalità risulta nei fatti incontrollabile e quindi non tutti svolgono la prevista formazione a fronte della dichiarazione di assolvimento dell’obbligo della stessa. In Emilia Romagna fino all’anno passato (cioè in situazione di pre-crisi) gli apprendisti erano circa 50.000 all’anno concentrati in particolare nel Commercio/Turismo e nel settore dell’Artigianato. 50.000 ogni anno che hanno permesso agli Enti di formazione di usufruire delle risorse della Regione Emilia Romagna per la formazione (circa 500 euro annuali ad apprendista, oggi con la crisi aumentati a 1.000). Evidentemente un affare per le imprese che hanno a disposizione personale sottopagato, ed una vera e propria manna per gli Enti di Formazione professionale (in genere di emanazione datoriale) che incassano, per una formazione spesso non fatta, i finanziamenti pubblici.
L’apprendistato, così come descritto sopra, diventa nell’intenzione del Governo, il terzo possibile percorso/canalizzazione dopo i 14 anni (ovvero la terza media) in aggiunta alla scuola superiore o al percorso nella formazione professionale regionale.
Risulta evidente che tali canalizzazioni, per i propri specifici contenuti, non presentano reali possibilità di passaggi tra di loro: insomma una canalizzazione precoce e definitiva. Anche le possibili “destinazioni finali” sono diverse ed evidenziano una “gerarchia” di importanza: la scelta della scuola superiore porta oltre al possibile lavoro specializzato a seguito del diploma alla ulteriore scelta dell’Università.
Nella formazione professionale e nell’apprendistato c’è solo il lavoro prima dei 18 anni anni e senza titoli di studio: è una facile previsione quella di un lavoro dequalificato e maggiormente esposto.
Dopo una scuola primaria che si sta trasformando rapidamente in una macchina per una selezione sociale attraverso il taglio degli organici, l’aumento degli alunni nelle classi e la falcidia degli investimenti, la scelta precoce anche del lavoro dequalificato completano il disegno lucido e preciso di togliere a tutti i cittadini i più significativi strumenti di promozione sociale: la scuola pubblica e l’Università.
A tutto questo si aggiunge, come conclusione, l’impossibilità di credibili percorsi, a partire dalla scuola per poi continuare nel lavoro, che possano riconoscere il merito individuale delle persone: formazione e lavoro avranno come presupposto la differenziazione di base delle opportunità.
Affermare poi che un percorso formativo e d’istruzione può essere sostituito da un percorso di lavoro attraverso il contratto di apprendistato significa togliere ogni significato ai processi formativi e, conseguentemente, alla professione di insegnante ed al ruolo della scuola, in particolare degli Istituti tecnici e professionali. Consegnare la formazione al modello degli “esperti” e non degli insegnanti, alla “demagogica” affermazione che l’azienda è un luogo formativo e, quindi, non c’è necessità di luoghi specifici per la formazione (scuole), significa incamminarsi su di una china estremamente pericolosa e da cui è quasi impossibile cambiare direzione.
Forse a ben vedere viene programmato, per il futuro di tutti noi e dei nostri figli, il guaio maggiore. Affermare e costruire un modello formativo dove l’autonomia della struttura vocata e specifica (scuola) e l’autonomia individuale dell’insegnante scompaiono e non sono più fondanti, è proprio voler, culturalmente e storicamente, affermare un modello autoritario e il ritorno in un passato molto remoto.
Claudio Cattini è responsabile Formazione e Ricerca della CGIL dell’Emilia-Romagna