Bertina Henrichs, La giocatrice di scacchi, Einaudi, 2006
La vita di certe donne è un lungo allenamento alla trasparenza. Ne sa qualcosa Eleni, quarantadue anni, due figli, un marito per il quale esiste solo in quanto dispensatrice di pasti e un lavoro – come cameriera ai piani di un albergo – in cui essere invisibili è dote sommamente apprezzata. Ma cosa accadrebbe se una coppia di turisti, sempre numerosi nella splendida isola di Naxos in cui vive, portasse inconsapevolmente scompiglio nella sua ordinata e prevedibile esistenza? Se nella sua vita senza desideri facesse all’improvviso irruzione una passione inattesa e talmente eccentrica da dover essere vissuta nella clandestinità?
No, non è per un uomo che il cuore di Eleni riprende a battere all’impazzata, costringendola a celare imbarazzanti rossori e a rinchiudersi in un bozzolo di sotterfugi. A ridarle la voglia di vivere, a farle avvertire per la prima volta il richiamo del largo – a lei, nata e cresciuta in un’isola – è la meravigliosa scoperta di uno «scampolo di vita esclusivamente suo, in cui si manifestava una sete di conoscenza fino ad allora rimasta sopita». Il «principe azzurro» di Eleni ha l’aspetto innocuo di una scacchiera, intravista per caso in una delle stanze che ogni giorno deve rassettare, ma rivela un animo rivoluzionario. L’impegnativo cammino che la donna intraprende per imparare il gioco degli scacchi è infatti l’inizio di una lenta ma determinata fuga dall’anonimato e dalla solitudine, che riesce a contagiare anche il ruvido professor Kourus, vecchio insegnante ormai deciso, per scelta o per pigrizia, a rinunciare alla compagnia dei propri simili, ché tanto «siamo sempre la delusione di qualcuno».
Ma l’originalità, si sa, ha un prezzo, e ben presto Eleni, la giocatrice di scacchi rapita da un mondo in cui le mosse di re, regine, alfieri, cavalli e pedoni riproducono e inventano i passi della vita, diviene scandalosamente impresentabile per un marito che la preferirebbe fedifraga («l’adulterio è una cosa ignobile ma concepibile. Vivere con una pazza è ancora più imbarazzante che avere una moglie infedele») e motivo di derisione per l’intero paese, impreparato ad ammettere un guizzo della sua fino ad allora inesistente personalità.
Quando rassegnarsi a muovere i propri pezzi secondo schemi prestabiliti non basta più, è la fantasia che viene in soccorso del gioco. Il gusto della libertà – che si traduce nel gesto ingenuo, innocente, eppure ribelle di concedersi due gocce di un profumo inebriante già dal nome, Eau sauvage – Eleni lo ha imparato sulla scacchiera, e quasi senza accorgersene lo assume come principio della propria vita, accettando anche il rischio di qualche mossa azzardata, solleticata dall’idea allegramente sovversiva che, almeno negli scacchi, è la regina – una donna – il pezzo più temibile.
Un racconto dolce e intenso, fresco, brioso: due gocce di Eau sauvage per tutte le regine che Trenitalia costringe a viaggiare nell’afrore di carrozze ben poco regali.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.