L’analisi del grande teologo, amico di Benedetto XVI: “Né la croce nelle scuole, né il radicalismo laicista aiutano la speranza. Non approvo la restaurazione contro il Concilio Vaticano II. La Chiesa non può più demonizzare matrimonio dei preti e contraccettivi”
Brunico – Anche per Hans Küng è venuto il momento di raccontarsi. Superati gli ottant’anni il grande teologo tedesco ha deciso di uscire nella librerie con un testo autobiografico. Was ich glaube, In che cosa credo (per ora solo in edizione tedesca) è stato presentato per la prima volta in Italia a Brunico in una sala affollatissima. Intervistato dal missionario altoatesino Sepp Hollweck, il teologo ha voluto ripercorrere i fili di una fede critica liberatrice.
Lo incontriamo nell’albergo poco prima della conferenza. “Scrivo – ci spiega Küng –– per tutti quegli uomini che sono in ricerca, che non si sentono soddisfatti dal modo tradizionale di professare la fede sia romana che protestante. Scrivo per uomini e donne che non si sentono a loro agio in una costosa spiritualità in stile wellness (Wellness-Spiritualität) o in una semplice fede intesa come balsamo per la vita. Scrivo per chi ha dubbi ma anche il desiderio di vivere la vita come gioia e come bellezza”.
Hans Küng, perché proprio ora un libro autobiografico?
Una delle domande più difficili che spesso mi è stata posta è questa: “Professor Küng, al di là di tutto in che cosa crede lei?” Ho pensato fosse giunto il momento di rispondere alla domanda non solo su un piano formale ma personale. I capitoli del libro sono il frutto di alcune lezioni che ho tenuto all’università di Tubinga. Mille persone hanno letteralmente occupato ogni angolo dell’aula per sentire il racconto di una visione di fede libera, gioiosa, aperta. Non bastano più i catechismi, non sono sufficienti i libri di religione, i corsi di formazione e nemmeno la Bibbia presa soltanto come libro di studio. Molte persone sono in cerca di una fede comprensiva di tutto, di una fede che si combina con un’etica adeguata al terzo millennio.
Lei insiste molto sul dialogo ecumenico e interreligioso, eppure negli ultimi quindici anni si è assistito ad un irrigidimento di posizioni. Lo storico incontro ad Assisi del 1986 quando papa Wojtyla radunò i rappresentanti delle grandi religioni dell’umanità, sembra un evento lontano.
Ho protestato fortemente contro la dichiarazione Dominus Jesus sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa come se l’unica chiesa perfetta fosse quella cattolica. La mia posizione è fortemente critica verso il tentativo di restaurazione in atto, specialmente contro il Concilio Vaticano II. Non si ha come modello Gesù Cristo ma il diritto canonico. Su tante questioni fondamentali come il ruolo della donna, quello dei laici, il celibato dei preti la Chiesa ha un atteggiamento di difesa dello status quo. Ogni tanto mi viene da pensare che Gesù avrebbe serie difficoltà a capire l’apparato ecclesiastico di oggi.
Nel libro lei affronta questioni spinose come il rapporto fra il vivere e il morire.
Sì, nel capitolo dal titolo Lebenskunst (l’arte della vita) ho affrontato il tema della morte a cui ho dedicato il paragrafo Ars moriendi. C’è una responsabilità individuale che bisogna tenere presente anche in quella che io chiamo la “dignità del morire”. E’ una questione delicata perché si intreccia fortemente con un elemento esistenziale, profondo che potremmo sintetizzare con queste domande: “Come voglio morire io? Come è morto mio fratello? Mors certa, hora incerta. Siamo coscienti che la morte arriverà, ma non sappiamo l’ora. Su questi temi le ideologie sono perniciose.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che la croce è un simbolo che non si può imporre. Lei cosa pensa?
La croce è essenziale per il cristiano. E’ un messaggio di vita, di speranza, di gioia. Nella storia però la croce è stata brandita come un’arma, è stata utilizzata come strumento di condanna degli eretici. Non è sempre stata un segno di benedizione. Capisco che ci siano delle persone che manifestano dubbi o avversioni nei confronti della croce appesa nelle scuole, però non credo che nemmeno il radicalismo laicista sia la soluzione al problema. La Corte europea non può legiferare su questioni del genere ma sono gli stati che autonomamente sono chiamati a disciplinare la materia.. Sono uno strenuo difensore della libertà religiosa ma sono anche convinto che per la maggior parte delle scuole italiane o tedesche la croce non sia un’offesa semmai è la mancanza di dialogo e di ascolto alla base di molti conflitti.
Papa Benedetto XVI apre i lavori al vertice della Fao sulla sicurezza alimentare. Un miliardo e 20 milioni di persone sono ridotte alla fame. Cosa si aspetta che dica il Pontefice?
Mi aspetto che dica qualcosa sull’esplosione demografica inaccettabile. Il problema della fame si combatte con una politica di controllo delle nascite. La pillola è uno strumento efficace per evitare il collasso della popolazione. La Chiesa non può più continuare a demonizzare i metodi contraccettivi.
Francesco Comina (1967), giornalista e scrittore.
Ha lavorato al settimanale della diocesi di Bolzano-Bressanone "il Segno" e
ai quotidiani "il Mattino dell'Alto Adige" con ruolo di caposervizio e a
"L'Adige" di Trento come cronista ed editorialista. Collabora con quotidiani e
riviste in modo particolare sui temi della pace e dei diritti umani. È stato
assessore per la Provincia di Bolzano e vicepresidente della Regione Trentino
Alto Adige. Ha scritto alcuni libri, fra cui "Non giuro a Hitler. La
testimonianza di Josef Mayr-Nusser" (S. Paolo), "Il monaco che amava il
jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti" (il Margine), con Marcelo
Barros "Il sapore della libertà" (la meridiana) e con Arturo Paoli "Qui
la méta è partire" (la Meridiana). Con M- Lintner, C. Fink, "Luis
Lintner. Mystiker, Kämpfer, Märtyrer" (Athesia), traduz. italiana "Luis
Lintner, Due mondi una vita" (Emi). Ha scritto anche un testo teatrale "Sulle
strade dell'acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti" (il Margine).
Coordina il Centro per la Pace del Comune di Bolzano.