Il partito che non vorrei
30-06-2009
di
Giovanni Zonin
Ho cominciato a interessarmi di politica dopo i vent’anni. Vengo da una frazione di Thiene, provincia di Vicenza. Di politica sentivo parlare ogni sera nella casa dove abitavano anche i nonni. Nonno e nonna operai. Nonno socialista, nonna democristiana abbonata al “Lavoratore Cattolico”, mi pare diretto dal fratello del ministro Rumor. Mio padre e mia madre ascoltavano e non si interessavano se non per far finire i loro discorsi che non finivano più.
Ho 34 anni. Quando è nato l’Ulivo ho pensato con rammarico che quel partito poteva mettere d’accordo il nonno e la nonna. Adesso vivo a Milano dove lavoro come tecnico in una industria. Non sono contento che il nonno e la nonna non ci siano più, ma sono contento che non possano vedere cosa sta succedendo. Il partito che vorrei deve essere un partito non diviso dalle personalità dei leader importanti, ma unito proprio dalla loro esperienza. Forse è anche colpa mia e di chi lavora con me e si lamenta, ma non possiamo lamentarci perché nessuno è iscritto ad un partito del centro sinistra. Resta il fatto che per iscriverci dovremmo avere entusiasmo e fiducia che adesso non c’é. A cosa è servita l’esperienza dell’onorevole Bertinotti se non a mettere a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi? Come accettare la mano tesa di Casini che cambia mano da una città all’altra resuscitando la strategia di Craxi determinante nelle maggioranze di ogni tipo governo, non importa i profili dei presidenti? Ma erano gli anni Ottanta, adesso siamo nel 2000 e il futuro del quale parliamo per il momento si annuncia con la testa girata al passato.
A cosa servono a noi giovani le manovre e le divisioni che non finiscono mai?
Ho un figlio di tre anni e quando lo guardo mi auguro che non cresca in un’Italia come questa.
Giovanni Zonin, 34 anni, vive a Rho, in provincia di Milano.