La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Imparare il coraggio ai “Siciliani” di Giuseppe Fava

14-12-2009

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Allonsanfan” di Riccardo Orioles, a cura di Francesco Feola e Luca Rossomanno – Melampo Editore


Da ragazzo, ero sostanzialmente un “compagno” – cosa che a quell’epoca era abbastanza comune – e giravo l’Italia in cerca di movimenti e lotte. A un certo punto, verso la fine degli anni Settanta, ho deciso di “mettere la testa a posto” e scegliermi una professione. Per una serie di circostanze (mi piaceva scrivere, ed ero piuttosto intraprendente) ho finito per fare il giornalista. Anzi, ho vinto un concorso dell’Ordine per cui il giornale che mi avrebbe assunto avrebbe avuto delle facilitazioni, e quindi potevo scegliere. Scelsi una famosa testata di allora. Ma, due giorni prima di prendere servizio, mi dissero che un giornalista, che io non conoscevo e si chiamava Fava, stava aprendo un giornale a Catania. Ora, proprio in quei giorni io avevo notato questo nome. Avevo letto, in una libreria, un suo libro di cui avevo colto subito l’eccezionale valore, e mi ero meravigliato di non conoscere questo scrittore. Così, visto che faceva giornali e che io a quanto pareva adesso ero un giornalista, decisi di andare a Catania a conoscerlo. E lì restai. Allora, nella mia vanità, pensavo di occuparmi di politica italiana ed estera, di grandi temi. Viaggiavo molto, e avevo fatto molte cose in quegli anni. Lui mi mise alla cronaca nera. Così imparai a conoscere quella povera e vivissima città, una città del Sud come tante. A poco a poco, cominciai a rendermi conto del peso che aveva la mafia (Catania, allora, non era considerata città mafiosa) ma soprattutto dei legami strettissimi che essa aveva con tutta la gente importante della città: industriali, politici, perfino poliziotti e magistrati. Così il nostro piccolo gruppo di cronisti “nuovi” (io ero il più vecchio, e non avevo trent’anni) cominciò a colpire duro. Alla fine i padroni del giornale licenziarono prima il direttore, e poi me. Noi ragazzi per un po’ occupammo il giornale poi – nessuno ci sosteneva – decidemmo di metterci in proprio e di farci un giornale nostro. Si chiamava I Siciliani: i siciliani siamo noi onesti – diceva il direttore – non quegli altri. Ebbe un successo fortissimo, era fatto bene. Nell’84 uccisero il direttore. Non credevo che queste cose potessero succedere davvero, succedere a noi. Per qualche miracolo, riuscimmo a restare uniti e a tenere duro. I giovani di Catania, e poi delle altre città della Sicilia, ci aiutarono meravigliosamente; ma anche a Milano, per esempio, riuscimmo a fare delle bellissime assemblee.

Il giornale chiuse dopo altri due anni, perché non c’era pubblicità. Erano anni durissimi, perché non c’era denaro per nessuno, e nonostante ciò bisognava fare il giornale, andare in giro alle assemblee, organizzare, ecc. Verso l’88 entrai in contatto con dei colleghi di Roma che volevano fare un settimanalediverso”, Avvenimenti. Andai con loro, e questo giornale riuscì abbastanza bene; io ero il caporedattore e cercavo di coinvolgere al massimo tutta la vecchia area de I Siciliani; e, in particolare, di dare uno spazio larghissimo ai giovani; in Sicilia avevo visto che era l’unica forza su cui si potesse veramente contare. Sotto il profilo personale, la mia vita era una cosa un po’ zingaresca. C’erano periodi in cui avevo una casa mia e altri in cui dormivo al giornale o in qualche altro posto del genere. Avevo avuto una storia bellissima con una ragazza (non la prima, certo: ma questa è stata il centro della mia vita); ma il giornale, il movimento, formare persone, erano più o meno coscientemente il perno intorno a cui si muoveva tutto, per me; in questo, c’era qualcosa di bello ma anche – me ne accorgo ora – qualcosa di egoistico nei confronti di quelli che mi volevano bene e che volevano una vita tranquilla con me. Penso a quella ragazza, soprattutto. Avvenimenti ha chiuso pochi anni fa, ma io me n’ero andato prima, perché secondo me il successo gli aveva “dato alla testa” e il clima cominciava a essere un po’ burocratico, ristretto; o forse perché in realtà volevo rilanciare in continuazione, cercare di realizzare quell’idea di giornale-scuola-movimento che avevo intravisto in Sicilia e di cui avevo enorme nostalgia. Tornai a Catania e riuscii a riaprire per tre anni I Siciliani; ma anche questa volta, pubblicità niente. Questa fase fu utile soprattutto “politicamente”: a partire dal movimento antimafia, che in quegli anni era davvero maturo e forte, cominciò a crescere qualcosa di quello che poi si cominciò a chiamare “società civile”. Finita questa seconda serie de I Siciliani, per un paio d’anni ho tentennato nel giornalismo “ufficiale” e poi finalmente ho fatto il salto e ho deciso di dedicare gli anni che mi restavano a un giornalismo completamente fuori giro. Cercando sempre, s’intende, di restare professionale e serio, ma senza più chiedere né cercare nulla al giro dei colleghi, alle grandi testate.

Riguardando indietro ora, sono contento. Sono stati anni difficili, lo sono ancora, ma i risultati sono buoni. Ho formato un sacco di ragazzi, sono riuscito a non fare compromessi; e a restare un giornalista, non un “protestatario” come tanti. La Catena di San Libero, la e-zine che ho iniziato così per orgoglio, alla fine ha avuto un buon successo (addirittura dei premi); certo non porta soldi, ma mi va bene lo stesso.

Ecco, questo, più o meno è il canovaccio della mia vita. Non sono modesto; scrivo bene, molto meglio della media dei colleghi, perché ho avuto buoni maestri e ho cominciato molto presto; ma non sono e ormai so che non sarò mai Hemingway o Kapuscinski o un giornalista-scrittore. Sono un artigiano, un buon artigiano, non un poeta: ma in fondo voglio essere questo, non un artista. Sono soprattutto – e questo lo so benissimo – un militante. Non certo di un partito, ma sicuramente di qualcosa. E, anche qui, non sono né un leaderino né chissà cosa: semplicemente un buon militante, come tanti che c’erano una volta, ma serio, veterano, capace di non mollare. Adesso, sotto questo profilo, mi sento – ma solo da poco – molto sereno. Il mondo, nonostante tutti questi orrori, ritorna a intravedere qualche luce; da noi in Italia la fase del riflusso più oscuro è terminata, e vedo nascere delle vite belle, della ragione, confusa ma ragione, nella testa di ogni generazione nuova che va crescendo. Io, adesso, non devo vincere più niente, visto che le cose ormai vanno avantimolto più velocemente di me – per i fatti loro. Debbo soltanto cercare di non fare porcate, di dare un esempio buono delle cose in cui ho creduto. E questo, per il tempo che resta, credo di poterlo fare.

Riccardo OriolesNato a Milazzo, dove comincia negli anni '70 con il giornalismo "impegnato" in piccoli giornali locali e le prime radio libere, assieme a Pippo Fava ha fondato nel 1982 e poi sostenuto il mensile I siciliani, edito a Catania, che ha avuto il merito di denunciare le attività illecite di Cosa Nostra in Sicilia. Cavalieri, massoneria, mafia e politica i temi principali di un giornalismo che si proponeva rigoroso nelle inchieste e nel mestiere di comunicare e portare alla luce ciò che la mafia per anni aveva fatto al buio. Giuseppe Fava, a un anno dalla nascita del giornale, viene ucciso dalla mafia. Orioles è il punto di riferimento più forte nella redazione del dopo Fava, impegnato a contrastare in ogni modo il fenomeno della mafia; guida un gruppo che si contraddistinguerà negli anni per l'unità e per la qualità delle inchieste svolte. Egli è stato inoltre tra i fondatori del settimanale Avvenimenti e caporedattore dello stesso fino al 1994. Dalla riapertura, nel 1993, fino al 1995 ha diretto I siciliani. Dal 1999, svolge la sua attività giornalistica scrivendo e diffondendo l'e-zine gratuita La Catena di San Libero. Nel maggio 2006 esce la sua ultima fatica: Casablanca, mensile (che ha fondato e dirige) col quale continua a denunciare mafie e corruzioni. Nel corso del 2008, la redazione di Casablanca annuncia l'imminente chiusura per mancanza di fondi e, nonostante i numerosi appelli lanciati a livello nazionale, è costretta a sospendere le pubblicazioni. Parte dei giornalisti impegnati in Casablanca, insieme alle personalità più attive della società civile, ha poi ripreso forma e dato seguito ai precedenti contenuti nel magazine online 'U cuntu[1], disponibile anche in un formato pdf liberamente scaricabile. Fonte: Wikipedia
 

Commenti

  1. Stefano Bovero

    Il mio rispetto ed ammirazione per Orioles e la Melampo.Vorrei però tanto poter percepire più visibilità pubblica delle \"vite belle\" e della \"ragione di ogni generazione nuova che va crescendo\" di cui si parla, a ragione, nell\’articolo.Se è vero che si torna ad \"intravedere qualche luce\" è tuttavia anche vero che mai come di questi tempi i fondamenti della cosa pubblica sono stati messi in discussione a partire dal dopoguerra: Repubblica, sovranità popolare, legalità. Perché, a differenza di un tempo, la reazione politica e sociale non parla più il linguaggio meschino e osceno della dittatura e della consorteria più o meno occulta, bensì quello della \"libertà\" e della \"democrazia\" sotto cui trapela un plebiscitarismo populista sempre più pericoloso.

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