Cosa farebbe il presidente degli Stati Uniti se una delegazione cinese si presentasse alla Casa Bianca col discendente del famoso capo indiano spogliato da ogni avere e confinato, assieme al suo popolo, nelle riserve-zoo dove i turisti vanno a fotografare gli antichi padroni d’America?
Il Dalai Lama, un globe trotters assai ammanigliato con gli ambienti che contano nel mondo occidentale, è stato ricevuto dal Presidente USA Obama con il quale si è trattenuto lungamente non per esercizi spirituali ma per parlare delle migliori strategie con le quali portare avanti la causa della indipendenza del Tibet dalla Cina. Naturalmente, data la estrema religiosità dei luoghi pieni di alte montagne che elevano l’animo verso Dio, il Tibet dovrebbe essere affidato a lui ed alla sua teocrazia che per oltre due secoli lo ha tenuto strettamente nel pugno di una feroce dittatura.
L’armata rossa liberò i tibetani da una oppressione spaventosa. I tibetani governati dal Dalai Lama non avevano diritto alla istruzione essendo questa riservata ai monaci, non avevano diritto alla sanità, erano meno che servi della gleba nelle terre appartenenti alla casta buddista. Stiamo parlando di un territorio vasto quanto Germania, Francia e Italia messi insieme! Il Tibet è grande 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati ed è un quarto della Cina. Durante la dominazione buddista, insediatasi in uno dei tanti periodi di indebolimento dell’unità nazionale cinese, la popolazione diminuì drasticamente a causa della denutrizione e delle malattie. All’inizio del secolo scorso, gli inglesi tentarono di impossessarsi del Tibet costringendo il Dalai Lama alla fuga. Nel 1950, l’armata rossa guidata da Mao che aveva liberato gran parte della Cina dai signorotti feudali entrò in Tibet e lo incluse nella Grande Cina pur rispettandone il governo locale. Ma i monaci non erano disponibili a cedere l’immenso potere che avevano sulla terra e sulla popolazione e ordirono rivolte sanguinose. Alla fine il Dalai Lama ed i suoi ricchissimi cortigiani furono costretti a fuggire all’estero. E’ inutile dire che la liberazione del Tibet ed il suo ritorno alla madre Cina è stata fonte di grande prosperità per i tibetani che hanno imparato a leggere ed a scrivere, hanno ospedali, hanno trasporti ferroviari e strade moderne, insomma sono stati traghettati nell’era moderna dal medioevo feudale nel quale erano tenuti prigionieri.
Obama, nel quadro della strategia militare e politica americana di destabilizzazione delle nazioni che non si vogliono sottomettere al suo dominio, cura con attenzione, come i suoi predecessori, tutte le possibilità di interferire, naturalmente in nome dei principi di libertà e di democrazia di cui gli Usa proclamano di essere tutori. Già durante le Olimpiadi riuscirono con monaci addestrati appositamente dalla Cia nei monti del Colorado a provocare gravissimi disordini a Llasa per non fare godere alla Cina la soddisfazione di essere paese ospite dei giochi olimpici e per sollevare una ondata di emozioni e di simpatia nel mondo intero a favore dei monaci. I quali in effetti stavano tentando un vero e proprio pogrom nei confronti dei cittadini cinesi e dei loro beni. Molti negozi e molte case furono incendiati. Molti furono uccisi.
Mi chiedo che cosa farebbe Obama se una delegazione di cinesi accompagnasse da lui il successore di Toro Seduto e gli chiedesse conto della condizione disumana che tuttora persiste nelle riserve indiane dove furono e sono tuttora relegati i pellerossa ridotti al rango di oggetto folcloristico da mostrare ai turisti. Le teste di alcuni valorosi capi delle tante tribù sterminate dal genocidio dei feroci coloni e del loro esercito blu sono esposte ancora alla curiosità macabra del pubblico. Nonostante gli USA siano da due secoli una forte confederazione di Stati, gli Indiani d’America sono chiusi in territori tra i più poveri ed affidati a gestori che li trattano come esseri inferiori profittando della loro povertà.
Farebbe bene il Presidente Obama ad occuparsi della condizione dei resti di uno dei più crudeli genocidi della storia e cercare di aiutare la popolazione indiana ad “integrarsi” dal momento che la sua condizione è peggiore di quella dei neri.
In verità, la politica degli USA verso il mondo, dopo la fine del bipolarismo, è orientata verso mete di conquista e di sottomissione degli altri. Tutto fa brodo per la realizzazione dei programmi a lunga scadenza della gerarchia militare dal rapimento e assassinio dei patrioti definiti “terroristi” alla strumentalizzazione di personaggi che diventano icone della propaganda imperialista. Il Dalai Lama, la Betancourt rapita dai guerriglieri che lottano contro il sanguinario regime dei militari colombiani sostenuti dagli Usa, la Uang in Birmania. Queste tre icone sono ben diverse dalle carte da gioco dei wanted irakeni quasi tutti poi acciuffati e giustiziati. Sono mezzi per proseguire la corsa infinita verso una frontiera che si allontana sempre e che dovrà comprendere l’intero pianeta. Dalla guerra di Corea in poi il mondo non conosce pace. A guardarle nella loro sequenza temporale e spaziale le guerre passate o in corso mostrano la trama di un organico progetto di assoggettamento del pianeta. Noi tutti siamo vittime di questo espansionismo. La stessa globalizzazione serve ad accelerare il processo verso il grande impero a stelle e strisce.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.