Quando il 2011 si concluderà, la NATO avrà speso 20 miliardi di dollari negli ultimi due anni per addestrare le forze armate afgane e fornire armamenti e tecnologie di guerra. Mai l’Alleanza atlantica aveva fatto tanto: la cifra corrisponde approssimativamente a quanto speso in “aiuti militari” dallo scoppio del conflitto in Afghanistan sino alla fine del 2009. “Il programma è finalizzato a sviluppare le capacità delle forze di sicurezza afgane e a pagare le esercitazioni e la fornitura di equipaggiamento e infrastrutture”, annuncia il generale statunitense William Caldwell, a capo delle operazioni di addestramento delle forze NATO nel paese asiatico. Presto avverranno le prime consegne di armamenti: si tratta di elicotteri ed aerei e di un’ampia gamma di fucili, mortai e visori notturni.
“Resta ancora percentualmente alto l’analfabetismo tra gli appartenenti alle forze armate locali ed è ancora scarsa la presenza di addestratori specializzati”, aggiunge il generale Caldwell. “Per preparare i militari afgani a superare gli ostacoli e potere assumere il pieno controllo della nazione entro il 2014, termine previsto dalla NATO per ritirare le proprie forze da combattimento, la missione di addestramento alleata resterà in Afghanistan almeno sino al 2016, quando si concluderà il programma di sviluppo della forza aerea”.
Con il nuovo piano di “aiuti”, entro la fine del 2011 verranno incorporate nelle forze armate afgane 70.000 nuove unità. Oggi sono 149.500 gli uomini in forza all’esercito, 134.000 i poliziotti e 4.100 gli avieri in guerra contro i Talibani. Si affiancano ai 131.730 militari della International Security Assistance Force (ISAF), la forza militare multinazionale sotto comando NATO dall’agosto del 2003. Al contingente ISAF contribuiscono 48 nazioni, anche se l’apporto quantitativo e qualitativo determinante è assicurato da appena 7 paesi, Stati Uniti (90.000 militari), Gran Bretagna (9.500), Germania (4.887), Francia (3.850), Italia (3.770), Canada (2.913) e Polonia (2.488). Nonostante le dichiarazioni ufficiali di “disimpegno” e di “ritiro progressivo” dell’ISAF, è in atto una nuova escalation della presenza militare straniera in Afghanistan. A fine dicembre il Presidente Obama ha fatto sapere che gli Stati Uniti sono pronti ad inviare 30.000 militari in più e che i primi rientri in patria non avverranno prima del luglio 2011. Mille uomini della 26th Marine Expeditionary Unit, una forza di riserva riattivata nelle acque dell’Oceano Indiano e del Golfo Persico, hanno raggiunto nei giorni scorsi la provincia meridionale di Helmand per “rafforzare per tre mesi i progressi raggiunti nella lotta contro Talibani”, secondo quando dichiarato dall’US Central Command. Sul fronte NATO, ancora il generale William Caldwell annuncia l’arrivo di 397 nuovi “militari specializzati” per addestrare il personale afgano, mentre entro la fine di gennaio verranno dislocati a Kabul 450 uomini degli Allied Rapid Reaction Corps (ARCC), i corpi d’armata di reazione rapida a guida britannica che la NATO ha attivato una decina di anni fa per condurre missioni fuori-area. Il personale ARCC supporterà l’International Security Assistance Force nella pianificazione delle future operazioni alleate in Afghanistan.
“La nostra missione resta sempre centralizzata alla conduzione delle operazioni di contro-insorgenza in partnership con le forze nazionali di sicurezza afgane (ANSF) e al supporto del Governo e della Comunità internazionale nel settore delle riforme del sistema della sicurezza, incluso la guida, l’addestramento e il sostegno operativo dell’esercito e della polizia nazionale”, ha spiegato il 16 dicembre 2010 il Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen. “Si è però lanciato un processo di transizione finalizzato a che il governo afgano assuma gradualmente la leadership nella difesa del paese, provincia per provincia, distretto per distretto”. Predisposto durante la Conferenza internazionale tenutasi a Kabul nel luglio 2010, il “piano di transizione” è stato approvato al recente summit NATO di Lisbona. La sua implementazione è prevista a partire dalla primavera 2011 per concludersi entro la fine del 2014, quando l’ISAF dovrebbe ritirare definitivamente buona parte dei suoi contingenti per limitarsi ad un “ruolo di supporto e di sostegno a lungo termine” delle forze armate afgane e di quelle del Pakistan.
Al vertice di Lisbona, l’Alleanza Atlantica ha anche approvato le linee-guida per le missioni da realizzare a medio termine in Afghanistan. “La NATO deve potenziare le linee di comunicazione delle rotte stradali esistenti ai confini tra il Pakistan e l’Afghanistan”, si legge nel documento finale. “La rotta settentrionale è stata sviluppata nell’ambito degli accordi realizzati con la Federazione russa relativi al transito terrestre di attrezzature non letali. Accordi per il transito sono stati firmati pure con Bielorussia, Kazakistan, Tajikistan, Ucraina ed Uzbekistan. Il primo convoglio NATO attraverso la rotta settentrionale è partito da Riga, Lettonia il 14 maggio 2010 ed è giunto in Afghanistan il 9 giugno”. La NATO punta a rafforzare la cooperazione con la Russia anche nel settore dell’“addestramento anti-droga” del personale afgano e delle forze armate di altri paesi dell’Asia centrale. “Sin dall’avvio del programma alla fine del 2005, più di mille ufficiali sono stati formati presso il Centro di addestramento anti-droga di Domededovo. Al summit di Lisbona, il NATO-Russia Council ha stabilito l’avvio di un secondo centro addestrativo a San Pietroburgo. Durante il summit ci si è pure accordati per creare nel 2011 un fondo congiunto NATO-Russia per la manutenzione degli elicotteri e aiutare le forze armate afgane ad operare in modo più efficiente con la loro flotta elicotteri”. La NATO amministrerà inoltre un fondo per “accrescere la sicurezza dei depositi munizioni dell’esercito nazionale afgano (ANA) e supportare lo sviluppo delle capacità d’immagazzinamento delle munizioni dell’ANA”. Il programma sarà finanziato dalle nazioni ISAF e dalla NATO Maintenance and Supply Agency (NAMSA).
Se c’è scetticismo sul ritiro definitivo della NATO entro il 2016, è certo invece che le forze armate degli Stati Uniti d’America si stiano preparando a una presenza “duratura” in terra afgana. Al Senato è stata presentata recentemente una mozione che chiede all’amministrazione Obama di prendere seriamente in considerazione la realizzazione di “basi aeree permanenti” nel paese. Nel 2009 il Pentagono ha ottenuto dal Congresso lo stanziamento di 924 milioni di dollari per costruire in Afghanistan “basi di proiezione avanzata”, alloggi per le truppe, scali aerei operativi, depositi di munizioni e carburante. Buona parte dei fondi (560 milioni di dollari) è stata destinata al potenziamento di Camp Bastion, la grande base aerea aperta nel 2006 in un’area semi-desertica della provincia nord-occidentale di Helmand. I lavori prevedono la costruzione di un centro di comando e controllo, numerose palazzine-alloggio per il personale militare USA, britannico e afgano, un grande ospedale, piste aree e hangar per accogliere caccia, elicotteri “Apache” e “Chinook”, aerei da trasporto C-17 e C-130. Uno stanziamento di oltre 37 milioni di dollari è stato previsto invece per l’espansione della base ISAF-USA di Camp Phoenix, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Kabul. L’infrastruttura è attualmente sede dell’855° Squadrone di trasporto aereo dell’US Air Force.
Sul bilancio per l’anno fiscale 2011, il Pentagono è riuscito a strappare ben 604 milioni di dollari per vecchie e nuove basi militari in Afghanistan. Tra gli interventi d’eccellenza, ancora Camp Bastion (46,8 milioni di dollari), lo scalo militare di Kabul (126,8 milioni), Camp Scorpion (13 milioni), il “Sia Sang Intelligence School training center” (10 milioni), l’Università della Difesa di Qargah-Kabul (60 milioni), la base aerea di Bagram (43 milioni). Bagram, in particolare, è tra le candidate più accreditate per divenire una delle maggiori basi operative “permanenti” degli Stati Uniti in Afghanistan. Lo scalo, a una decina di chilometri dalla città di Charikar (provincia di Parwan), è oggi sede della 101^ divisione aviotrasportata dell’US Army e del 455 Air Expeditionary Wing dell’US Air Force che opera in missioni di combattimento, trasporto e rifornimento aereo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento.
Secondo il General Accountability Office (GAO) degli Stati Uniti d’America, al febbraio del 2009 erano già stati spesi per la ricostruzione delle infrastrutture in Afghanistan più di 38 miliardi di dollari. “Ciononostante – ha denunciato il GAO – la sicurezza in Afghanistan è significativamente peggiorata negli ultimi tre anni, impedendo agli Stati Uniti e ai suoi partner internazionali di ottenere successi nella ricostruzione del paese”. Ad analoghe amare conclusioni sono giunte pure 29 organizzazioni umanitarie afgane ed internazionali (tra esse Oxfam, Afghanaid, la Afghan Independent Human Rights Commission). In un report-appello intitolato “Nowhere To Turn”, pur continuando a condividere la missione ISAF in Afghanistan, le ONG denunciano gravi carenze del personale alleato nell’addestramento e nel controllo delle forze nazionali di sicurezza afgane. “Il passaggio delle responsabilità per la sicurezza alle forze afgane deve affrontare enormi difficoltà”, dichiarano gli estensori del documento. “C’è il serio rischio che le forze nazionali di sicurezza commettano abusi diffusi, dal furto all’estorsione, dalla tortura all’uccisione indiscriminata di civili. I paesi membri della NATO, che addestrano, consigliano, finanziano ed equipaggiano queste forze, condividono la responsabilità di eventuali abusi e devono fare in modo che ciò non accada. Ma finora, sul campo, si sono viste poche azioni in questa direzione”.
Le 29 organizzazioni aggiungono che i soldati e i poliziotti afgani “sono scarsamente addestrati e che le catene di comando sono deboli” e che “le morti di civili causate dalle forze afgane non sono investigate o verificate in modo adeguato”. “La NATO – prosegue il report – deve abbandonare programmi pericolosi come le cosiddette “iniziative di difesa comunitaria”, che coinvolgono milizie locali nella lotta contro i Talibani. Le reclute sono valutate in modo sbrigativo, ricevono pochissimo addestramento e spesso rispondono solo ai comandanti locali. Ben lungi dall’aiutare a stabilizzare il paese, queste milizie ne aumenteranno probabilmente l’instabilità. Le forze internazionali devono immediatamente cessare di fornire armi a queste milizie comunitarie”. Bruxelles ha scelto la politica dello struzzo. Per i partner afgani belligeranti sono pronti 20 miliardi di dollari…
Antonio Mazzeo, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militarizzazione, dell'ambiente, dei diritti umani, della lotta alle criminalità mafiose. Ha pubblicato alcuni saggi sui conflitti nell'area mediterranea, sulla violazione dei diritti umani e più recentemente un volume sugli interessi criminali per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina ("I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina", Edizioni Alegre, Roma).