Sono stata invitata a partecipare al convegno Scuola e Urbanistica, presso la Facoltà di Ingegneria della Sapienza, Università di Roma. Il sottotitolo: Idee per uno sviluppo armonico di cultura e civiltà dell’abitare. Un argomento che – come esplicitamente suggerito – non è esclusivamente legato al requisito, pur assolutamente fondamentale, della sicurezza nelle scuole; ma intercetta direttamente lo strettissimo rapporto tra le condizioni in cui si esiste e l’esistenza stessa. Il mio intervento verterà sul modo in cui i media trattano il problema dell’edilizia scolastica, tema di cui mi sono occupata tante volte, su Pavone Risorse, come su altre testate.
Ed è proprio dall’incostante attenzione della stampa alle condizioni dell’edilizia scolastica che si può partire per comprendere come – nel disastro generalizzato in cui siamo costretti a condurre la nostra parabola professionale, ormai definitivamente delegittimata dalla irresponsabile mitologia del fannullonismo – ci ricordiamo sempre meno di osservare lo stato delle nostre scuole. Lo facciamo per lo più, esattamente come fa la stampa, in occasione delle tragedie che costantemente scandiscono il tempo e raccontano drammaticamente il degrado.
Poi dimentichiamo, o meglio rimuoviamo, tragedie e promesse che puntualmente seguono quegli eventi e riadattiamo i nostri occhi all’inerzia dell’accettazione di un’edilizia spesso mortificante, con la tristezza ontologica che connota in larga parte i nostri edifici scolastici e che solo le volenterose e volontarie iniziative di educatrici e maestre, per lo più nei primi segmenti della scuola, riescono ad edulcorare.
Eppure quel perimetro è fondamentale: rappresenta il luogo dove studenti e lavoratori trascorrono una parte importante della propria giornata. È il luogo dell’apprendimento e delle prove tecniche di cittadinanza, quello in cui cerchiamo di individuare un mondo di sollecitazioni, di stimolare fiducia e investimenti sul futuro, che poco hanno a che fare con le pareti grigie, con gli arredi scarni e disadorni, spesso datatissimi, con servizi igienici spesso malridotti, con spazi parcellizzati e insufficienti che costituiscono la media dell’edilizia scolastica nel nostro Paese.
In una recente visita nella periferia piemontese – oggi in molti casi avanguardia leghista, ma un tempo scenario di gloriose lotte partigiane – mi sono divertita a osservare le facciate degli edifici scolastici. Si intuisce una volontà di affidare ad essi una funzione che travalichi quella istituzionale; una funzione simbolica alta, di trasferimento della memoria, di consegna della tra-dizione, di ciò che deve essere ricordato e trasferito di generazione e in generazione, del rispetto per quella memoria, per quella consegna, per quella funzione. Il luogo dell’istituzione, della cittadinanza, della crescita. Non a caso gli edifici da cui più promanano autorevolezza e solennità sono le scuole elementari, quelle che nell’Italia di un tempo esplicitavano la funzione di obbligatorietà e il primo contatto con l’essere cittadini.
Le scuole sono molto importanti in e per quelle comunità, per una cultura che parte dai momenti più gloriosi della nostra storia nazionale. L’ambiente in cui si vive, si lavora, si respira, si apprende, si trascorre il tempo è fondamentale per rendere ciascuna di quelle azioni più significativa e completa. Il convegno Scuola e Urbanistica presenterà una serie di progetti innovativi per il III millennio: l’obiettivo è quello di ribaltare completamente il punto di vista attuale, soprattutto nella percezione di quali siano le condizioni idonee per svolgere adeguatamente e in maniera soddisfacente i compiti per cui siamo stati chiamati.
Si tratta di un approccio non banale, destinato ad avere ripercussioni anche sul modo di intendere la scuola educativamente e socialmente: si tratta di spazi progettati per modelli di scuola a tempo pieno, a partire dall’asilo nido, via via a toccare tutti i segmenti seguenti.
Si parte dall’idea di una struttura che abbia attivamente la funzione e la capacità di sviluppare attitudini e potenzialità degli studenti, con appositi spazi adeguatamente attrezzati per ospitare strutture tecnologiche avanzate per l’insegnamento diretto da parte dei docenti, così come di strutture telematiche e supporti audiovisivi per l’insegnamento a distanza e di strutture per lo svolgimento di attività artistiche e musicali, teatrali, sportive e motorie.
Un’utopia, penseranno quanti quotidianamente incappano nelle condizioni del reale: edilizia fatiscente, norme di sicurezza violate, mancanza di fondi destinati alla gestione ordinaria.
Leggere però – trasversalmente – in tutti i programmi sulla scuola che i partiti puntualmente licenziano nella fase pre-elettorale, di scuole aperte al territorio, deve incoraggiare studio e ricerca nella direzione di una modificazione consistente della concezione degli istituti scolastici e delle loro caratteristiche, finalità, funzioni: scuole da concepire come centralità urbanistiche, in cui le nuove generazioni possano crescere e formarsi armonicamente e dignitosamente. Il loro inserimento dovrà essere studiato in modo da costituire anche un centro di aggregazione per la comunità, che potrà avvalersi delle strutture di cui sarà dotato per le proprie attività sociali ed in cui le diverse generazioni potranno incontrarsi ed aggiornarci.
È quello che si propone il Convegno, mettendo in relazione scuola e urbanistica e introducendo l’idea che le scuole vanno concepite come centralità urbanistiche, che diventino anche centri di aggregazione per la comunità; e che le strutture scolastiche siano progettate per permettere alle nuove generazioni di crescere e formarsi armonicamente e dignitosamente. È necessario che esse siano fruibili da parte di tutta la comunità per le proprie attività sociali, anche per facilitare l’incontro e l’aggiornamento delle diverse generazioni.
“Il Convegno affronta due temi cruciali, scuola e urbanistica, su cui si gioca gran parte del futuro del nostro Paese, con la finalità di aggregare tutte le forze che vogliono un reale rinnovamento dell’Italia per farla tornare ad essere un faro di civiltà e di progresso per l’Europa e per il mondo” afferma il prof. Ing. Romano Boni, organizzatore dell’iniziativa di Roma. Una sollecitazione alla quale sarà certamente interessante non sottrarsi.
Marina Boscaino è insegnante di ruolo di italiano e latino presso il Liceo classico "Plauto" di Roma. Giornalista pubblicista (l'Unità, il Fatto Quotidiano), fa parte del comitato tecnico-scientifico dell'associazione professionale "Proteo Fare Sapere": www.proteofaresapere.it.