Può un governo ospitare in modo faraonico e circense il capo di un paese musulmano dove l’islam è religione di stato e contemporaneamente osteggiare la realizzazione di luoghi di culto sul suo territorio per chi crede in questa fede? È possibile che in questo stesso governo che ingaggia centinaia di giovani donne per allietare l’autorevole ospite straniero, in modo che questi abbia la possibilità di invocarne la conversione (con un effetto comico straordinario, dato che le hostess oggi prezzolate per ricevere con deferenza il sacro libro del Corano domani saranno a qualche festa assai meno religiosa) ci siano personaggi che a intervalli regolari insultano persone credenti che vengono da paesi musulmani, e che istigano i loro scherani a gettare urina di maiale sui terreni dove dovrebbero sorgere le moschee?
Certo che è possibile, quando a capo di questo governo c’è un uomo come Silvio Berlusconi, e che l’Italia è ormai da anni, nella comunità internazionale, nota assai più per le bravate goliardiche e da postribolo del suo premier piuttosto che per le riforme sociali e le soluzioni ad una crisi economica che sta impoverendo fette sempre più grandi di popolazione.
Mentre alcune donne stanno per essere lapidate per adulterio nell’Iran del dittatore Ahmadinejad qui da noi va in scena lo spettacolo testosteronico di un analogo dittatore che straparla nel nome della religione islamica e che ha in comune con il nostro premier il culto virile della propria personalità e la retorica istrionica di un mediocre capo clan.
Anche se non serve consigliare qualcosa di colto e intelligente a chi è del tutto impermeabile allo spirito critico e al pensiero sarebbe utile, a Gheddafi come a Berlusconi e ai molti leghisti di governo e di lotta la lettura del libro di una giovane intellettuale e attivista musulmana per i diritti umani. Lei si chiama Irshad Manji e nel 2004 dette alle stampe un testo dirompente, The trouble with Islam tradotto in quasi tutte le lingue e diventato un manifesto politico per le masse giovanili progressiste nel mondo musulmano, il cui titolo in italiano suona come una domanda molto, ma molto pertinente: Quando abbiamo smesso di pensare?
Irshad Manji si rivolge direttamente alle sue ‘sorelle e fratelli musulmani’ scrivendo una lunga e accorata lettera nella quale invita donne e uomini nel mondo islamico, credenti e non, ad assumersi la responsabilità di evolvere culturalmente e politicamente, rifiutando le derive fondamentaliste e dittatoriali di alcuni paesi a maggioranza musulmana.
Credente islamica, lesbica e femminista dichiarata, Manji spiazzò il mondo scrivendo che erano i fanatici islamisti che la volevano morta perchè lesbica ad essere contro Allah, e non certo lei, creatura di Dio.
“I musulmani devono stare più attenti alla passività, -scrive-. A causa della nostra smisurata dipendenza da Dio troppo spesso finiamo infatti per sminuire il valore della iniziativa personale. Inshallah, sospiriamo. A Dio piacendo. No. A noi piacendo. Dio è più grande, più grande delle sue creature, ma questo non significa che non contiamo. Nel lungo viaggio verso la giustizia dobbiamo dimostrarci collaboratori attivi del Signore. Io accetto di non poter essere una narcisista spirituale, ma lo stesso vale forse per coloro che lanciano le loro fatwa contro la ragione? E per quelli di noi che li assecondano? Riusciremo a vincere la superstizione che ci impedisce di mettere in discussione il Corano, chiedendo apertamente da dove vengono i suoi versi, perchè sono contraddittori e come è possibile interpretarli diversamente, per scrollarci di dosso tutti i nostri rituali e a far scoccare la scintilla della immaginazione per liberare i musulmani del mondo dalla paura, dalla fame e dall’ignoranza? All’Occidente devo la mia determinazione a contribuire alla riforma dell’Islam. In tutta onestà, sorelle e fratelli musulmani, all’Occidente dovete anche la vostra”.
Questa intellettuale, impegnata da anni dopo il successo planetario del libro a costruire libertà e cultura tra i giovani di fede islamica, è una delle voci più importanti che arrivano dal mondo musulmano, e la sua domanda su dove sia andato a finire il pensiero è così universale da poter essere girata anche ad altri, in particolare ai credenti al governo di casa nostra.
Certo, per lei non si dovrebbero ingaggiare né centinaia di hostess né scenografie da Cinecittà, perchè la sua intelligenza e il suo impegno sono ambiti impossibili anche solo da concepire per il nostro premier e il suo amico libico, avezzi solo a maneggiare merci e a ragionare in termini esclusivi di immagine e di tornaconto. Archivieremo anche questa ulteriore brutta pagina, ma fino a quando dovremo subire queste umiliazioni da parte di chi sta al governo di un paese civile e democratico?
Monica Lanfranco è giornalista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto. Ha fondato il trimestrale di cultura di genere MAREA. Ha collaborato con Radio Rai International, con il settimanale Carta, il quotidiano Liberazione, con Arcoiris Tv. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici). Insegna Teoria e Tecnica dei nuovi media a Parma.
Il suo primo libro è stato nel 1990 "Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi". Nel 2003 ha scritto assieme a Maria G. Di Rienzo "Donne disarmanti - storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi" e nel 2005 è uscito il volume "Senza Velo - donne nell’Islam contro l’integralismo". Nel 2007 ha prodotto e curato il film sulla vita e l’esperienza politica della senatrice Lidia Menapace dal titolo "Ci dichiariamo nipoti politici". Nel 2009 è uscito "Letteralmente femminista – perché è ancora necessario il movimento delle donne" (Edizioni Punto Rosso).