Umberto Bossi e Giuliano Bignasca
La Lega ticinese ha stravinto le elezioni (quasi il 30 per cento) tappezzando case, strade, radio e Tv con uno slogan che invoca la cacciata dei frontalieri italiani, lavoratori pendolari ogni giorno su e giù da Como, Varese, Sondrio: 48 mila. Ma Giuliano Bignasca, il trionfatore, ripete con la voce rauca di chi ha gridato troppo: “Non più di 35 mila. Gli altri a casa: non possono rubare il posto ai ragazzi svizzeri che non sanno come tirare avanti”. Ma certi lavori i ragazzi svizzeri vogliono farli oppure no?
“Certi lavori vanno bene solo per chi viene da fuori. Ma i frontalieri si infilano dappertutto anche dove tocca a noi”. E poi le tasse: imprenditori e Cantone versano metà prelievi ai Comuni di residenza dei frontalieri, appena di là dal confine. Bignasca l’ha promesso nel decalogo col quale chiedeva il voto agli elettori che il voto gli hanno dato. “Le tasse devono restare tutte qui. Manterrò la promessa”. E sta già rinforzando la battaglia finale: tener fuori la Svizzera dall’Europa. Ridacchia: “Visto come hanno trattato bene l’Italia anche se noi siamo diversi. I piedi sulla testa non riuscivano a metterli”. Di là dal confine fatale i leghisti di Varese esultano: “Il suo trionfo è anche il nostro”, parola di Stefano Candiani, segretario provinciale Lega Varese.
Ma con olimpica saggezza il “Corriere del Ticino” di Lugano fa sapere che “Lega Lombarda e Lega dei Ticinesi non possono essere assimilate come fossero un’unica creazione politica. Appartengono a sistemi istituzionali diversi in una prospettiva nord-sud rovesciata. Slogan di Bignasca contro migliaia di frontalieri italiani anche se ciò non sembra creare imbarazzo ai leghisti di parte italiana”. Al contrario, baci e abbracci. I tunisini di Lampedusa dovrebbero imparare dallo stoicismo di Bossi & company: Bignasca li prende a pesci in faccia e loro sorridono: fingono di non accorgersi che un passo a Nord, oltre la frontiera di cioccolata, il popolo di Bossi finisce nel Sud profondo.
“È anche la frontiera della cacca. Noi abbiamo speso mille miliardi per il lago che a Lugano dovrebbe essere limpido. Purtroppo la cacca scivola verso il basso, quelli di Porlezza, provincia di Como, parlano, parlano ma niente depuratore. Ci becchiamo la loro merda. Dico a Porlezza: facciamo noi la depurazione. Soldi svizzeri, ma le imprese devono essere nostre. Non mi fido degli italiani. Li conosco quelli di là”. Giuliano Bignasca, 60 anni, si considera parente politico di Bossi, ma non proprio stretto per le “piccole differenze” che insinua ridacchiando o sospirando travolto dalla commiserazione: “Ohè, noi svizzeri siamo i più forti del mondo in queste cose. Altro che americani”. Agita i pochi capelli che ricadono grigi bianchi sulla polo rosa. Alle spalle la gigantografia del giovanotto Bignasca, chiome sciolte, petto nudo: Tarzan che imita Indiana Jones.
Scalpellino che diventa campione nella squadra del Lugano e poi imprenditore nell’impresa del fratello. Gli anni passano crudeli: adesso ha l’aria un eroe del catch con la pancia pronta al ko. A suo modo è un eroe della scalata elettorale. Imprenditore edile, due anni fa litiga con le ferrovie per certi terreni. Perde e decide la vendetta. Fonda un giornale assieme: “Il mattino della domenica”. Lo regala ma anche un po’ lo vende. “Vado a pari con la pubblicità”. 55 mila copie e diventa un partito. La Lega, appunto. “Volevamo chiamarla Comitato dei diritti popolari dei cittadini; parlando con un amico abbiamo scelto Lega. La gente capisce subito”. E il Ticino gentile e immobile nelle sue eterne gerarchie perde l’aplomb. Nell’aprile ’91 si presenta alle elezioni cantonali: raccoglie il 14 per cento dei voti. Qualche mese dopo alle elezioni federali “facciamo un macello: il 30 per cento”.
E la Lega comincia a governare il Cantone: diventa il Nord che la Lega invidia, ma anche questo nord a 30 chilometri da Como considera i leghisti italiani con la meraviglia che il teatro “meridionale” riesce a suscitare. “Bravi, ma la nostra cultura pragmatica È un’altra cosa”. Bignasca scioglie il giudizio in discorsi più annacquati, chinandosi sul registratore. Ma il messaggio arriva chiaro. Bossi È un giacobino di destra: si riconosce? “Giacobino? Mah… Di destra no. Glielo dico subito: io sono di sinistra. Faccio le battaglie per la libertà. Ne abbiamo fatta una contro i limiti di velocità bloccando per sei ore l’autostrada da Airolo a Mendrisio”. Cento all’ora, avevano deciso.
Che senso ha se la tua macchina fa i duecento? Sciopero bianco: tutti a casa. E si vendeva meno benzina. “Abbiamo vinto: limiti cancellati. Sono più pratico di Bossi. Vedo un problema, faccio due conti, lo risolvo. Bossi mi sembra un po’ romano. Politica e compromessi. Non si può. Bisogna lavorare. Io guardo le cifre. La mia impresa ha 200 e più operai. Ogni mattina devo mandarli avanti. Mi sono accorto che questa classe politica non fa i conti. Ma mi sento uguale a Bossi per identità di impulsi”. I conti, Bossi li fa, e come, quando invita a non pagare le tasse… “Se permette l’idea l’ho avuta prima io”. E non le avete pagate?
“Ferma, ferma: le tasse bisogna pagarle”. Allora dove finisce il suo separatismo contro il Nord cattivo dei cantoni tedeschi? “Non sono cattivi. Sono protestanti. Vogliono morire senza lasciare debiti. Buona cosa, ma vuol dire restare fermi. La nostra battaglia è il separatismo economico. Berna deve pensare all’esercito, alla politica estera e alla sicurezza interna. Per il resto ogni cantone si arrangia. Se al Ticino restituiscono i guadagni delle dighe, dei dazi sui carburanti e le tasse che le grandi banche pagano a Zurigo o a Berna, noi siamo a posto”. Vista una certa identità con la Lega italiana, non le piacerebbe uno stato Ticino. Lombardia?
“Bravo, lui. Lì mi tocca un po’ nel delicato. Bisogna prima di tutto eliminare la Guardia di Finanza; cancellarla a tappeto. Il male di là dalla frontiera è il collegamento intimo tra il cittadino bottegaio o imprenditore e la Guardia di Finanza. Viene, ti sequestra la scrivania: dentro, tutte le carte. Dopo due giorni di sigilli, tiri fuori i milioni e vanno via. Insomma: se di là artigiani, commercianti e piccoli impresari pagassero le tasse giuste senza la tangente al politico o alla finanza, la Lombardia andrebbe meglio”. In questo caso sarebbe disposto a unirsi alla Lega in uno Stato?
“Sarei disposto, ma bisogna che paghino le tasse. Non ho niente contro quelli di là. In troppi vengono nei nostri alberghi, la gente vede che lavorano meno e spendono di più degli svizzeri. Come fanno?”. E nei Comuni italiani attorno al confine ha idea cosa succede? (Sottovoce, con la faccia furba) “Dai, di là. È il quinto mondo…” E qui? “Qui piccoli e grandi nessuno scappa. Sono tassato per settecento milioni di reddito”. Le piace il federalismo di Bossi? “Noi siamo già uno stato federale. Dico che il Ticino deve restare così. Fra vent’anni si vedrà per l’ Europa. Cosa vuole: quando arriva qualcuno dall’altra parte del confine per dirmi ‘compra questo terreno, da verde agricolo te lo faccio diventare edificabile’, e io penso: anche nel Nord Italia fanno i furbi. Allora, stiamo larghi”.
Conosce Bossi? “L’ho conosciuto tardi, dopo Speroni, dopo Maroni e con loro mi intendo”. Mi dicono che lei è religioso. “Non sono credente. Mando il mio bambino in una scuola cattolica perché sono legato un po’ a Comunione e Liberazione. Abbiamo avuto in vescovo legato a Comunione e Liberazione. Stampiamo da loro, nella tipografia del ‘Giornale del Popolo’, pagando profumatamente, però”.
Come mai la Lega dei Ticinesi è entrata a Berna nel gruppo parlamentare di Azione Nazionale, il partito del dottor Schwarzenbach che ha lanciato due referendum xenofobi per mandare via gli stranieri? Gli italiani erano allora 750 mila. Più di 100 mila lombardi, se lo sa Bossi… “Allora non facevo politica. Bisogna prendersela con i rifugiati non con chi emigra alla ricerca di lavoro”. Fra i suoi operai molti italiani? “Molti frontalieri, lombardi e anche meridionali. Tanti portoghesi. Guardi che non ce l’ho con loro. Anzi: li terrei a dormire. Anziché fare cento chilometri su e giù ogni giorno affittano una casa, spendono qui e qui pagano le tasse, tutte, mentre adesso per metà vanno ai Comuni di residenza, di là dal confine. Che poi i vantaggi dall’altra parte sono quelli che sono. Pensi agli ospedali”.
Li ha visti? “Li ho visti. Perché loro sono così? Perché l’italiano è così. Non è colpa del ministro di Roma: se uno prende un milione e tre per fare le pulizie l’ospedale resta sporco. Vorrei una cassa malattia privata. Pagano due milioni all’anno e in trenta chilometri arrivano in un ospedale pulito, efficiente, comodo, camera privata. Per il Ticino sarebbe un affare: abbiamo mille letti vuoti. Nell’assicurazione c’è anche la spesa del viaggio: li andiamo a prendere noi. Guardi, gli svizzeri vanno forte. Quel che facciamo noi in sei mesi di là lo fanno in un anno”.
E le banche corrono anche loro? “Lugano è la terza piazza finanziaria della Svizzera. Quasi 40 banche, gli impiegati saranno seimila. Le banche sono a destra. Il segreto va mantenuto per difendere ricchezza e posti di lavoro. Anche noi abbiamo conosciuto magistrati d’assalto. C’è stato il Paolo Bernasconi che ha fatto un casino spaventando il risparmiatore italiano. Adesso tornano come prima. Per conto mio in banca non ci deve guardare nessuno. Può entrare solo la procura per tirar fuori un morto e deve tirarlo con un rampino senza un passo dentro”.
A quale uomo politico italiano vorrebbe somigliare? “Al primo Pannella, quello meno folcloristico e più rivoluzionario”. Ma lo diceva prima del trionfo delle elezioni. Adesso vuol somigliare solo a Bignasca.