Troppi politici cattolici continuano a guardare chi “minaccia la nostra civiltà” come forza del male, nemico da distruggere con ogni spesa ed ogni mezzo. E la corsa agli armamenti, e il capitalismo che dimentica l’uomo, diventano simboli della “modernità”
Raniero LA VALLE – La nonviolenza negli anni violenti: libera scelta individuale od obbligo di ogni credente?
29-11-2010Si può amare il mondo, “incarnarsi” in esso, giocarvi fino in fondo la partita umana, senza necessariamente diventare complici delle sue cadute, delle sue guerre, dei suoi progetti sbagliati o falliti? Il Concilio Vaticano II aveva detto di sì, perché non aveva ripreso la dottrina secondo la quale dopo il primo peccato gli uomini, respinti da Dio, avrebbero perso i doni della loro propria natura e perciò sarebbero stati quasi necessariamente spinti al male, ma aveva sostenuto che integra era rimasta in loro l’immagine di Dio (“naturali morum integritate ornati”, diceva anche la Pacem in terris) e da Dio erano stati “messi in mano al loro consiglio”, cioè resi capaci di far fronte alle sfide e di prendere in mano la storia.
Antonino Drago, studioso e testimone della nonviolenza, riprende questa tesi da un mio articolo precedente e apre una questione di indubbio rilievo: se i cristiani, e la Chiesa, accettano la modernità (cioè il mondo oggi qual è), ciò non comporta accettare tutto il gravame della modernità, con la sua corsa agli armamenti, il capitalismo, i progetti falliti del socialismo, ecc.? Questo sarebbe il rischio dell’ “incarnazionismo” che a suo parere sarebbe prevalso al Concilio contro la tesi “escatologista” che sconta l’insanabilità della situazione mondana, ne prende le distanze e investe tutto sulla vita futura, assumendo il peccato originale come “essenziale” alla fede cristiana.
In questa alternativa quello che interessa Antonino Drago è che ne è della nonviolenza. A suo parere nel caso dell’incarnazionismo la nonviolenza si ridurrebbe a un impegno morale di perfezionamento. Invece nell’altro caso essa sarebbe la risposta al peccato originale (inteso anche come il peccato che è all’origine di ogni struttura, personale e anche sociale) e quindi, sulla scia del mistero pasquale, sarebbe costitutiva della fede cristiana. Anzi sarebbe proprio questa l’unica vera novità pastorale da stabilire ulteriormente tra i cattolici, eventualmente con un altro Concilio.
Che dire di questa tesi che fa della nonviolenza una specie di discrimine tra incarnazionisti e escatologisti, e che la mette in coppia col peccato originale, sicché senza quella dottrina anche la nonviolenza cadrebbe?
Anzitutto c’è da dire che incarnazione ed escatologia non vanno contrapposte; in realtà il Concilio le ha assunte insieme, senza l’una o l’altra non ci sarebbe cristianesimo, e anche Benedetto XVI nel suo libro appena uscito ci ha tenuto a rimettere in equilibrio l’annuncio rivolto “alla creazione di un mondo migliore”, con quello che va oltre questo orizzonte, e offre all’uomo ciò che gli permette “di sfondare il muro del suono del finito”.
Ma, ristabilito questo equilibrio, credo si debba aggiungere che violenza e nonviolenza vadano riportate nel grande capitolo della libertà umana. Se la violenza fosse un destino, se essa fosse la maledizione trasmessa dal peccato originale, allora la nonviolenza sarebbe un esorcisma.
Ma la violenza umana è una scelta degli uomini e delle donne. Non necessaria, non obbligata. Per questo è libera. E frutto di libertà è la nonviolenza, che non è l’applicazione della legge del fariseo, ma la sempre rinnovata scelta di essere “come Dio” (è lui che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, è lui colui nel quale non c’è nemico, è lui che rifiutando la reciprocità – anche quella di peccato-vendetta – rompe la spirale della violenza, la fatalità del contrappasso).
Allora l’antitesi violenza-nonviolenza va riportata all’ultima radice antropologica, che non è il peccato, ma è l’ “imago Dei”. L’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio. L’immagine, come sappiamo dopo San Bernardo, non sta nella ragione, ma sta nella libertà. Perciò la libertà non si perde mai, “permane”, anche se se ne abusa, anche se ci si allontana dalla verità. E la libertà è anche libertà di peccare, è libertà di fare violenza, ciò che vuol dire restare nell’immagine, ma perdere del tutto la somiglianza. La nonviolenza invece sta nella somiglianza, è per somigliare a Dio, non violento (“fate come…”) che a mio parere, per un cristiano, per un uomo, sta la vera ragione della nonviolenza.
Ma rassomigliare a Dio non vuol dire ricavarne degli assoluti. A Dio si assomiglia stando nella storia, assumendo fino in fondo l’umano, affrontando il rovello del dubbio, facendo della nonviolenza, per amore, una scelta sempre rimotivata di libertà.
Raniero La Valle è presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione. Ha diretto, a soli 30 anni, L’Avvenire d’Italia, il più importante giornale cattolico nel quale ha seguito e raccontato le novità e le aperture del Concilio Vaticano II. Se ne va dopo il Concilio (1967), quando inizia la normalizzazione che emargina le tendenze progressiste del cardinale Lercaro. La Valle gira il mondo per la Rai, reportages e documentari, sempre impegnato sui temi della pace: Vietnam, Cambogia, America Latina. Con Linda Bimbi scrive un libro straordinario, vita e assassinio di Marianela Garcia Villas (“Marianela e i suoi fratelli”), avvocato salvadoregno che provava a tutelare i diritti umani violati dalle squadre della morte. Prima al mondo, aveva denunciato le bombe al fosforo, regalo del governo Reagan alla dittatura militare: bruciavano i contadini che pretendevano una normale giustizia sociale. Nel 1976 La Valle entra in Parlamento come indipendente di sinistra; si occupa della riforma della legge sull’obiezione di coscienza. Altri libri “Dalla parte di Abele”, “Pacem in Terris, l’enciclica della liberazione”, “Prima che l’amore finisca”, “Agonia e vocazione dell’Occidente”. Nel 2008 ha pubblicato “Se questo è un Dio”. Promotore del “Manifesto per la sinistra cristiana” nel quale propone il rilancio della partecipazione politica e dei valori del patto costituzionale del ’48 e la critica della democrazia maggioritaria.