fantasticavo una folla immaginaria alla quale rivolgevo quel canto…
[Da un’intervista ad Amelia Rosselli a proposito de La libellula]
Il momento storico presente rende estremamente necessario anche per le donne artiste prendere posizione a favore di una rinascita degli ideali del movimento femminista e delle sue battaglie nella seconda metà del Novecento, battaglie attualmente dimenticate e grottescamente negate dal potere politico e dall’annichilimento delle coscienze nell’Italia contemporanea.
Il nostro manifesto vuole essere una proposta di mobilitazione culturale volta alla presa di coscienza dell’enorme patrimonio poetico femminile dell’Italia contemporanea e alla sua valorizzazione.
Il titolo del nostro manifesto, Fragili Guerriere, è ripreso dal video di Daniela Rossi in ricordo delle due grandi poete scomparse, con un intervento di Rosaria Lo Russo che inaugurava il contenuto critico, etico-politico e poetico del presente manifesto sulla novità della poesia epica scritta da donne. Il video è stato presentato in occasione della bellissima iniziativa di Maria Teresa Carbone e Franca Rovigatti ROMAPOESIA-PO/EPICHE, Roma 2010, Festival interamente dedicato alla poesia delle donne.
Dalla seconda metà del Novecento ha preso corpo in Italia un nuovo filone letterario, la poesia epica scritta da donne, non ancora storicizzato in quanto tale e quindi non ancora sufficientemente conosciuto e valorizzato dal pubblico e dalla critica, né mai prima tentato dalle autrici di poesia italiane dei secoli precedenti, sempre limitate alla poesia lirica occasionale o d’imitazione del canone petrarchesco. Le madri fondatrici del poema epico femminile italiano contemporaneo sono Amelia Rosselli con La libellula, composta fra il ’58 e il ‘62 e Patrizia Vicinelli con I fondamenti dell’essere, scritto fra l’’85 e l’’87. Queste due opere, con la relativa distanza compositiva fra di esse, inaugurano una scrittura poetica di lungo corso, oggi rappresentata – secondo noi – da molta poesia scritta da donne. Sono dunque due opere storicamente cruciali, per aver iniziato una nuova poetica antiliricistica e poematica e di carattere sperimentale, in forte opposizione al canone letterario italiano, ovviamente maschile, e al contempo in lacerante dialogo con esso, e fortemente interrogativo rispetto ad esso, soprattutto in relazione alla riformulazione, sovversiva ed eversiva, dell’imperante Io poetico, onnipresente (ovvero sia lirico che poematico) eroe della nostra tradizione letteraria.
L‘epopea di Rosselli e Vicinelli riformula e rifonda le basi canoniche della lirica e del poema tradizionale. I loro sono poemi di fondazione in cui l’Amore (il fulcro stilnovista della nostra tradizione) fra l’Io e il Tu lirici diventa il mezzo di un percorso iniziatico che ha come fine la costituzione di un nuovo Sé poetante, una nuova identità autoriale, diversa da quella canonica in quanto declinata al femminile. Si tratta propriamente di guadagnarsi sul campo l’autorizzazione a scrivere, tramite una riformulazione identitaria esperita nella sperimentazione delle forme pronominali, verbali, sintattiche, tematiche: autorizzazione, nel doppio senso di ‘permesso di scrivere’ – non dimentichiamolo, sostanzialmente negato fino all’Ottocento alle donne – e ‘diventare autore’, assumere cioè una propria identità stilistica, rifondare un genere, il genere epico. Le nostre due poetesse hanno sfidato l’autorialità maschile entrando nel canone attraverso la porta privilegiata, quella aulica e mitica del poema epico; sono entrate nell’agone letterario liberandosi dei limiti qualitativi e quantitativi imposti dalla lirica amorosa, l’unica concessa nei secoli alle poetesse, imbrigliata in griglie metriche e tematiche soffocanti e ripetitive.
La domanda bruciante, nel loro viaggio iniziatico, è questa : chi sono Io? Chi è che dice, qui e ora, nel poema delle donne, Io? Il mito della ricerca del Santo Graal, parodiato ne I fondamenti dell’essere (titolo, in tal senso, eloquentissimo), è la ricerca di un Sé poetante androgino, in cui rimane ancora irrisolto il conflitto fra l’eroe del passato e un’ipotetica eroina del futuro, che pure, paradossalmente, è già in azione per il fatto stesso della poematicità nella poesia di Vicinelli. Ne La libellula, il combattimento caotico fra l’Io e il Tu, che percorre tutto il poema come un’interrogazione ossessivamente incessante – una questione di vita o di morte – si risolve nel finale del poema in un reperimento identitario coraggiosamente partenogenetico, quello di una Figlia dei Padri che, assumendosi la responsabilità dell’autorizzazione, si autorigeneri come Figlia del Sé: “ben fortificata alla pioggia, ben sommessa/ al dolore, ben recapitata fra i tanti filtri/ delle esperienze – sapere che la luce è tua madre, / e il sole è quasi tuo padre, e le membra tue/ tuoi figli”. Automusività, partenogenesi del Sé, un Io che è madre e padre a se stesso, oppure un Io androgino, un Io Donna che è un cavaliere antico, “imberbe” (Rosselli) e atavicamente sconfitto (Vicinelli). I poemi di Rosselli e Vicinelli ci interrogano sulla coraggiosa fragilità del Sé femminile, ancestralmente relegato al ruolo sottomesso di un Tu lirico-poematico, di un oggetto lirico, piuttosto che di un Io, di un soggetto lirico-poematico.
Ma qual è oggi lo stato dell’arte? Sicuramente le voci che sfidano la tradizione dialogando con essa sono molte, e forse la sconfitta non è più il necessario epilogo della fragilità dei frammenti del poema contemporaneo. Com’è oggi il Sé poetante delle donne? In che modo si può ancora parlare – sapendo però che se ne deve parlare perché l’argomento è ancora ampiamente tabuizzato – di una differenza di genere quanto all’identità poetante? Se Rosselli sfidava, tramite la sperimentazione formale, la poesia di Dante, di Campana, di Montale, e la Vicinelli quella di Eliot, mutuando i modelli alti dei Padri antichi e contemporanei, tenendo la misura, andando al passo epico con i Santi Padri, se Elsa Morante con Il mondo salvato dai ragazzini non temeva di protestare ad alta voce, con toni da proclama, con toni assolutamente antilirici, successivamente Patrizia Valduga e Rosaria Lo Russo si sono affermate parodiando Dante (con i poemetti epici La tentazione della prima e Comèdia della seconda), Vivian Lamarque con il fitto citazionismo aulico-lirico e fabulistico del poemetto Questa quieta polvere, tutta la produzione poematica di Iolanda Insana è in diretto rapporto con la ricerca rosselliana, per giungere al caso di Sara Ventroni con la ricerca poematica molto innovativa di Nel gazometro. Ma sono solo pochi esempi ad hoc, perché non è questo il luogo per dare definizioni sommarie di autrici che pure sono in stretta relazione con la sfida letteraria che vogliamo delineare: che dire della produzione di Antonella Anedda, Maria Grazia Calandrone, Ida Travi, Laura Pugno, Mariangela Gualtieri, Mariella Bettarini, Loredana Magazzeni, Florinda Fusco, Biancamaria Frabotta, Enrica Salvaneschi, Anna Lamberti Bocconi, Mariapia Quintavalla, Paola Turroni, Geraldina Colotti, Antonella Bukovaz, Jonida Prifti, Gilda Policastro (ciascuna, ovviamente, con le sue inconfondibili peculiarità, anche derivanti dal divario generazionale) e molte altre, nonché di moltissime autrici esordienti, come Maria Valente o Renata Morresi? Rivolgiamo a tutte queste autrici una domanda: vi sentite rappresentate da questo manifesto? Come affrontate po-eticamente il vostro operato artistico, che peso date ad esso nella vostra vita sociale e civile?
Nella ricerca poematica di cui stiamo parlando l’Io personale e occasionale, l’Io autobiografico dominante nella produzione femminile fino alla prima metà del Novecento, quello che ha reso deteriore o secondaria la poesia scritta da donne e ridicolmente lezioso il termine ‘poetessa’ – tanto che tutte le autrici cercano di schivarlo, chi facendo proprio il veterofemminista ‘poeta’ declinandolo latinamente al femminile, chi omettendo del tutto l’autodefinizione – quindi la stessa autorizzazione…? Potenza della terminologia! – è l’oggetto epistemologico che oggi vuole essere reinventato. Coniando per comodità il termine ‘poetrice’, poeta donna che è anche attrice dei suoi versi, immettiamo nel presente discorso la seconda questione centrale. Ognuna delle autrici citate come pioniere, alla ricerca del Sé autoriale agente e dell’abolizione della soggezione del Tu, ha risposto creando un attante epico: un Sé transpersonale portatore del desiderio di una comunità, di un’autocoscienza femminile sia poetica che etica, volta ad espandere ed accrescere la consapevolezza del proprio ruolo letterario, tramite la ricerca stilistica e contenutistica. Parte ineludibile e altrettanto fondante di questa ricerca è l’importanza sostanziale che tutte le ‘poetrici’ citate hanno dato e danno – consustanzialmente alla scelta epica – all’oralità. Quella di Rosselli, Vicinelli, Lo Russo, Valduga, Insana, (e Ventroni, Gualtieri), è inequivocabilmente poesia scritta anche per essere letta ad alta voce ad un pubblico, ovvero per essere appunto portatrice di una coscienza collettiva; poesia performativa nel senso più ampio del termine: canto di una collettività (come nuovo soggetto femminile) rivolto alla collettività (la società).
Noi vogliamo che le autrici di poesia lavorino nella consapevolezza della loro conquistata autorializzazione e che, consapevoli di un proprio Sé autoriale autonomato dalla tradizione anche perché in relazione ad essa, abbiano la forza e il coraggio di perseguire progetti poetici di ampio respiro e innovativi. Noi riteniamo che il modello letterario inaugurato dalla destabilizzazione e riformulazione letteraria di Rosselli e Vicinelli possano dare alla poesia femminile di oggi un senso etico oltre che estetico, una ragione profondamente e non occasionalmente civile del proprio operare poetico, volto alla trasformazione della società – dell’immagine della donna nella società attuale, disastrosamente regredita rispetto alle conquiste del femminismo storico – basato sulla consapevolezza della forza dirompente e nuova di un Sé, liberato dall’imperio dei modelli maschili del femminile, e che parli ad alta voce: che canti la propria libertà di pensare e di creare ad un pubblico più ampio possibile. Noi vogliamo che le giovani autrici, ma anche le autrici già affermate, si sentano autorizzate e incoraggiate a perseguire progetti poetici ampi e organici, con il coraggio e la generosità di dare un senso e una partecipazione collettiva al loro operato individuale.
Questo manifesto, nella convinzione dell’importanza sociopolitica oltre che artistica del filone po-epico femminile, è volto alla sua valorizzazione tramite una serie di iniziative quali l’organizzazione di eventi: reading-performance multimediali di poesia, interventi didattici nelle scuole secondarie e nelle università, dibattiti e seminari sugli argomenti esposti, ma anche raccolta e selezione di testi inediti di nuove autrici da presentare al pubblico nei festival di poesia. Perché nella confusione dell’iperproduzione poetica la nostra scelta sia chiaramente distinta e storicamente finalizzata.
Disse che anche la poesia andava detta/ in un altro modo, perché servisse ad altre schiere,/ e perché diventasse movimento attivo
[Da I fondamenti dell’essere di Patrizia Vicinelli]
Rosaria Lo Russo, poeta (il suo sito è www.rosarialorusso.it). Daniela Rossi è fra i curatori di 'Parmapoesia Festival - Per altri versi' e di 'Romapoesia'. Fa parte della giuria del Premio Delfini di poesia a Modena e di quella del concorso internazionale di videopoesia 'Doctor Clip' a Roma.