Chiedersi davanti ad una pagina bianca da dove potrebbe ripartire la sinistra italiana è un’operazione ardua e quanto mai bizzarra, poiché il primo pensiero istintivo davanti ad un tale quesito è di domandarsi perché debba essere la nostra generazione, alle prese con la sopravvivenza quotidiana alla precarietà, a suggerire alla sinistra italiana da dove ripartire. Allora si guadagna spazio il pensiero successivo che riguarda il distacco e la voglia di partecipare che non c’è più, che è sparita del tutto e che porta a chiedersi perché il desiderio di prendere parte alla politica e di riflettere sulla politica è sparita, è finita, nei giovani quanto negli adulti, fatta eccezione forse per qualche persona più anziana che resiste poiché socializzata ad una politica che oggi sembra preistoria.
Potrebbe sembrare il solito ritornello ma è la fiducia che è sparita del tutto, la fiducia nei partiti in quanto canale di partecipazione e la fiducia negli “altri” in quanto rappresentanti politici. La disaffezione, la perdita di interesse e la fatica nel solo leggere il giornale non sono altro che le dirette conseguenze della perdita di fiducia. Da dove potrebbe partire la sinistra italiana dunque? Forse proprio dalla fiducia. Si vota, si partecipa, si crede nella politica se si riesce a percepire che la politica di sinistra, che sia all’opposizione o al governo, oltre alle tante parole di cui ormai la nostra società è satura, riesce a produrre qualche piccolo risultato concreto nelle nostre vite, nella nostra esistenza.
Le politiche di sostegno ai giovani sono uno degli ambiti di policy in cui la concretezza dei risultati potrebbe essere maggiore. Se ci spostiamo dall’Italia – dove gran parte delle risorse spese in politiche sociali è assorbito dalle pensioni che molti della nostra generazioni vedono come una chimera – troviamo, anche in altri paesi dell’Europa mediterranea, città tappezzate di manifesti su campagne promosse dai governi locali per “aiutare le coppie giovani a vivere nel centro storico”, per “aiutare le giovani coppie nell’educazione dei figli” o ancora “per garantire la stabilità dell’occupazione giovanile nel settore pubblico e privato”. Programmi già in essere, non promesse elettorali, programmi con referenti, sportelli e fondi già a disposizione.
Le emergenze da cui, a nostro avviso, la sinistra oggi dovrebbe ripartire riguardano quindi i bisogni di un soggetto che nel nostro paese è stato raramente oggetto di politiche pubbliche: i giovani. Primo, occorre intervenire sulle scelte politiche abitative fornendo aiuti concreti e materiali a coppie di fatto e non per l’affitto e l’acquisto di prime case. Secondo, urge un ripensamento complessivo delle politiche sociali con particolare riferimento agli ambiti del lavoro precario e del non lavoro: da un lato, la messa in campo di politiche attive del lavoro fondate su processi negoziali; dall’altro, la predisposizione di ammortizzatori sociali che offrano sicurezze in chi incorre in fasi più o meno prolungate si inattività, con un’estensione universale del sussidio di disoccupazione. L’universalità è quindi un concetto che dovrebbe tornare in auge e ridisegnare il welfare italiano dirottando significative risorse sui giovani. Anche in ambito pensionistico, dopo le innumerevoli riforme degli ultimi anni che hanno sottratto speranze alle generazioni future, urge una riforma che offra un futuro sereno ai giovani per i quali è oggi impossibile fare previsioni circa la propria vecchiaia. Terzo, occorre sostenere con decisione la creazione di nuovi nuclei familiari incentivando la natalità con congedi parentali universalmente retribuiti e con massicci investimenti nella cura dei figli, soprattutto nei loro primi anni di vita. Altre urgenze che riguardano il mondo giovanile possono essere individuate con facilità, ma in questa sede preferiamo concentrarci sulle reali emergenze.
Qual è dunque oggi il ruolo di una sinistra litigiosa, frantumata e in buona parte fuori dalle istituzioni? Se essa è oggi all’opposizione nel governo nazionale, continua tuttavia ad essere a capo di molte amministrazioni locali ed è attraverso le amministrazioni locali che la fiducia può essere recuperata dimostrando la capacità di presentare programmi concreti che si traducano in politiche pubbliche visibili e tangibili, con una chiara caratterizzazione sociale. Alcune amministrazioni locali guidate dalla sinistra hanno presentato dei timidi programmi di sostegno per l’acquisto di prime case per le giovani coppie, programmi poco pubblicizzati, poco diffusi ed estremamente burocratizzati nelle modalità di funzionamento. Si deve fare di più, osare di più; è vero che i fondi per gli enti locali sono pochi, o meglio, sono diminuiti rispetto ad epoche di grandi disponibilità, ma la classe politica di sinistra sarà tale sono quando dimostrerà il coraggio di togliere platealmente fondi da servizi ed aree in cui si può risparmiare per destinarli a settori di policy in cui non vi è bisogno di altro se non concretezza. Le politiche di sostegno ai giovani sono continuamente utilizzate a fini elettorali per poi essere facilmente accantonate con la scusa del “non si può fare perché pochi mancano le risorse”. È così che si distrugge la fiducia nella politica e negli ideali che essa rappresenta. È così che la politica esce dalle vite individuali e si riduce ad uno dei tanti input asettici dai quali siamo bombardati attraverso i media, che oggi mescolano senza soluzione di continuità informazione e intrattenimento spesso inquinando la sfera pubblica di allarmismi ingiustificati (ad esempio, la sicurezza) e deviando l’attenzione dai veri problemi.
Si obietterà che queste politiche costano e sono impraticabili in un paese schiacciato fra un debito pubblico senza pari in Europa e la crisi economica. Proponiamo allora la realizzazione di una ricerca adeguatamente finanziata dalle istituzioni pubbliche che individui tutti quegli ambiti in cui queste risorse potrebbero essere reperite in un gioco a somma positiva dove tutti guadagnano. Investire sui giovani, infatti, libererebbe le loro famiglie da forti oneri legati ai tardivi processi emancipativi dai nuclei familiari originali. Tutti ne guadagnerebbero e i giovani, in un contesto fondato su un nuovo modello di welfare post-familistico, potrebbero finalmente camminare e correre sulle proprie gambe riguadagnando speranza e fiducia nel futuro.
La sinistra italiana tenta spesso di nascondere i propri errori dietro al paravento della scarsa partecipazione. La partecipazione è l’ultimo anello della catena da ricostruire. Prima devono essere rifondate le basi della fiducia e della credibilità, poi serve l’identificazione in rappresentanti e soggetti politici con una linea chiara, definita e intransigente che si facciano portatori delle basi di fiducia faticosamente costruite. Solo dopo aver rinsaldato gli anelli precedenti allora si potrà volgere lo sguardo alla partecipazione e al coinvolgimento. Come è possibile chiedere alle persone di partecipare, di impegnarsi in prima persona e di contribuire quando non vi sono le basi per farlo? Da qui si dovrebbe ripartire, soprattutto dall’ambito locale, da risultati visibili e tangibili che altro non sono che mattoni che vanno a formare e costruire saldamente le fondamenta della fiducia.
(Bologna – Firenze)
Cristina Dall’Ara (1977) si è laureata in Scienze Politiche presso l’Università di Bologna e ha conseguito il dottorato presso l’Università di Firenze. Attualmente è titolare di una borsa di ricerca post-dottorato dell’Università di Bologna e collabora con l’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari del CNR di Bologna. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le riforme dei sistemi giudiziari nei paesi dell'Europa Orientale e nei Balcani, la politica di allargamento dell’Unione Europea e la promozione della democrazia e della rule of law.