Un amico molto colto, nel segnalarmi qualche tempo fa i saggi “La manomissione delle parole” di Gianrico Carofiglio e “Sulla lingua del tempo presente” di Gustavo Zagrebeslky, pubblicati recentemente da Rizzoli e da Einaudi, così cominciava il suo commento: “Basta poco per cambiare di significato ad una parola ed anche ad un insieme di parole. Basta ad esempio cambiare posto ad una virgola, e succede che un ordine di pace “pace (virgola), impossibile aprire il fuoco”, diventa un ordine di guerra: “pace impossibile (virgola), aprire il fuoco”. Oppure basta togliere, una virgola, e l’invocazione di un cattolico come il Presidente Emerito Scalfaro: “Dio (virgola), aiuta Berlusconi a fare il bene”; diventa per tanti cattolici che ci credono, la convinzione che “Dio (senza virgola) aiuta B. a fare il bene”.
La settimana scorsa ho letto, proprio in questo sito, l’articolo La corruzione del linguaggio nel ‘Paese dei corrotti’ nel quale l’autore, Elio Veltri, riporta una frase di Octavio Paz il quale, a proposito della corruzione del linguaggio, scrive:
Un paese si corrompe quando si corrompe la sua sintassi.
La segnalazione dei due testi e gli esempi citati mi sono sembrati commendevoli e tuttavia più che di “manomissione” delle parole o di “corruzione” della sintassi operate oggi dal potere, io parlerei di riduzione delle parole a una loro intollerabile insignificanza, a una sorta di stomachevole melassa sonora (o di ributtante brodaglia lessicale) con la quale credendo di dire “tutto” si dice esattamente il “nulla”.
Supponiamo (con sforzo immaginativo di non grave peso) che qualcuno ci faccia questo ipotetico discorso elettorale:
Caro concittadino. Una mia personale indagine conoscitiva, svolta a “360 gradi”, mi ha rivelato il “forte” malcontento del nostro paese nei riguardi di alcune iniziative che stentano a decollare a causa di decisioni improvvide, per non dire sciagurate, dovute alla politica irresponsabile condotta. dai nostri avversari. Per fortuna, grazie al sostegno (confermato da rigorosi sondaggi) che ci accorderà la parte più sana degli elettori, noi sapremo, “voltar pagina” risolutamente e imprimere, tra virgolette, una “svolta epocale” alla politica italiana.
Non più “teatrini della politica”, non più “strumentalizzazioni indebite”, non più “giustizialismi” esercitati “a tutto campo” per amore di vendetta, o per indecoroso protagonismo, ma una politica “vera”, una politica “seria”, incentrata su programmi “concreti”, da attuarsi secondo scadenze “precise” e sulla base di modalità “ben determinate”.
Nella drammatica situazione in cui versa il nostro paese e ancor più l’Europa, non è più tempo di vani “baloccamenti”, di “parole vacue”, di assurde “concertazioni”, di defatiganti “incontri al vertice”. Occorre “AGIRE” e noi siamo pronti a dare l’avvio a una nuova “etica del fare” che avrà di mira realizzazioni “tangibili” come il drastico abbattimento del “debito pubblico”, la ristrutturazione del “sistema fiscale”, la caccia senza quartiere agli “evasori”, la “promozione degli investimenti” in vista di una “ripresa dell’economia” e di un “incremento dell’occupazione giovanile”, l’ammodernamento della “scuola”, il rilancio della “ricerca”, il rafforzamento del “welfare”, la riforma della “giustizia”, l’aggiornamento di una “Costituzione” eccellente ma in parte superata, l’adeguamento alle nuove realtà della ormai obsoleta “macchina amministrativa dello Stato”.
Il tutto nel pieno rispetto della “trasparenza” e dei sacrosanti principi di uno “Stato di diritto” che si basa sull’equilibrio intangibile dei poteri e sulla concezione di una “democrazia non velleitaria”, non basata, cioè, su valori di libertà e di eguaglianza meramente formali, ma una democrazia “partecipata” che veda ogni cittadino impegnato nella conservazione e nella difesa della “res publica” e della “identità nazionale”. Una identità che non esclude, di per sé, riforme in senso federalista purché tale federalismo contemperi la necessaria solidarietà e il diritto di ciascuno, per dirla con il sempre attuale Voltaire, di “coltivare il proprio guardino”. W l’Italia! W la Repubblica!
Ora mi si saprebbe dire, di fronte a un tale deprimente ammasso di luoghi comuni, da chi viene questo discorso? E che cosa esattamente significhi?
Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.