Tra gli spettacoli più emozionanti di questa estate appena trascorsa, ve n’è uno, peraltro con qualche anno di età, realizzato dal Teatro delle Ariette, compagnia teatrale la cui ricerca è convivenza di arte, vita e lavoro. Un teatro di terra, fatto con le mani, di mattarelli e farina, di ragù e lucine da sagra, un affondo nell’umano attraverso un lavoro paziente e tenace che conduce nel profondo del cuore.
I temi sono autobiografici, sono il rapporto dell’uomo con le materie prime, con la natura, con gli animali, con la terra, con le radici. È un teatro di pensieri e sentimenti, di musica e canzoni, di riflessioni profonde seguite da momenti di poesia, leggerezza e magia. Si parla di vita e di morte, di gioia e di amore.
E proprio vita e morte si intrecciano, con grande intensità, nella Pasqua laica L’Estate. Fine che nel giugno scorso ho rivisto a Siena, la prima volta fu nel 2004 al Festival di Santarcangelo.
L’estate: la stagione della maturità dell’anno, la stagione in cui, con tempi distesi, si aspetta con dolcezza che qualcosa finisca. Una metafora della vita.
Si parte dalla Fortezza Medicea, dove gli attori-contadini tagliano le verdure, le zucchine, i pomodori, i peperoni, il pane, e a piedi, in processione, dietro una bara portata a spalla, si scende alle belle Fonti di Pescaia in una fresca sera d’estate. Qui ci sediamo su delle panche di legno. Attorno alla scena. Nella scena. Come alle festa dell’Unità di una volta, come ad una sagra di paese. Al centro della scena, davanti ad un fiasco di vino, tre bandiere rosse. Attorno a noi appese lastre di radiografie che ci vengono poi consegnate. L’idea di malattia.
È la fine. Di una stagione, di un ideale, di un mondo, della vita di una persona a noi cara. Nell’aria le parole di Pasolini (al quale è dedicato lo spettacolo) scritte per la sceneggiatura del film “Medea”, la voce di Ninetto Davoli, una canzone di Natale cantata da Tom Waits, mentre nel pentolone cuociono il riso, la verdura e il ragù. “Dov’è andato il pensiero della morte?”. È il momento dello swing!
“Siamo qui per divertirci”, ci ricorda una voce al microfono. E per mangiare. Bisogna mangiare. È bello mangiare. Fin che si prova fame, la vita è dentro di noi. Poi, arriva un momento, quando si soffre, in cui non si chiede più il cibo. Quando la malattia morde il corpo e questo scompare. Quando solo gli occhi rimangono vivi. Grandi, verdi, belli, umidi, vivi. Davanti a noi un uomo sulla sedia a rotelle viene imboccato.
E noi, attorno a lui, in quella vicinanza facciamo davvero fatica a trattenere le lacrime che scendono sulle nostre guance.
Così, termina questo inno all’amore, che attraverso il dolore e la nostalgia ci riporta alla vita e anche, con grande semplicità, a concludere la serata, attori e spettatori insieme, in una festa popolare mangiando e bevendo, condividendo il cibo lì cucinato. Il Teatro delle Ariette è un teatro da mangiare. Ci si parla, ci si guarda negli occhi, si balla su un tappeto ricoperto di mais.
Qualche giorno fa ho ritrovato uno dei chicchi di mais nel fondo della tasca del pantalone che indossavo quella sera e subito di nuovo ho riprovato quelle forti emozioni, di commozione ma anche di nostalgia per un mondo di affetti e di ideali perduto. L’Estate. Fine è quasi un teatro politico, nel senso più alto del termine. Di partecipazione, di condivisione, di riappropriazione di quella sfera intima e personale di attaccamento alla vita e ai suoi piccoli piaceri, a quel mondo semplice fatto di piccole ma grandi cose che sempre più ci vengono sottratte e che sempre più si perdono in questo rumore di fondo.
Il Teatro delle Ariette abita in un podere, Le Ariette al Castello di Serravalle, vicino a Bologna, dove Paola Berselli e Stefano Pasquini, due dei soci fondatori, autori, costruttori e produttori del loro teatro, conducono l’omonima azienda agricola e dove, in mezzo alla campagna, hanno costruito il Deposito Attrezzi, edificio rurale per il teatro.
Hanno portato il teatro fuori dal teatro, nei luoghi della vita, nei luoghi di lavoro, nelle case, nei forni, negli ospedali, nelle scuole, per le strade, nelle piazze, in mezzo alle campagne, ma anche in importanti teatri e festivals italiani ed europei, sempre coltivando il senso della comunità. Così, d’altra parte i cittadini hanno aperto le loro case e i loro luoghi ad artisti e spettatori trasformandosi in luogo pubblico di incontro e di cultura.
Piccola Europa, il loro Festival, un progetto triennale che ospitava spettacoli europei di teatro contemporaneo, quest’anno, dopo 14 anni, non si farà. Annullato per mancanza di fondi. Il Comune ha azzerato il suo contributo economico. “Non ci fermerà la mancanza di soldi – scrive la Compagnia – possiamo cambiare direzione, pelle, foglie. Il teatro continua a essere necessario, è il luogo dove vive e si nutre l’anima. Che vita è senz’anima?”. Le Ariette continuano a produrre. A lavorare. A nutrire la nostra anima.
È nata a Parma il 15 dicembre 1971, città nella quale tutt'ora vive. Lavora da ormai numerosi anni in ambito culturale, occupandosi prevalentemente di comunicazione e organizzazione presso istituzioni e festival teatrali nazionali.