Sfoglio le “slide di Stato”, fatte pervenire dal ministero ai presidi delle scuole delle città – Torino, Napoli, Pisa, Siracusa – scelte per sperimentare la perestrojka del premio al merito. Titolo ambiguo, come il resto del lavoro: “Progetto sperimentale per premiare gli insegnanti che si distinguono per un generale apprezzamento all’interno della scuola”; testimonianza di come la diffusione del “digitale” nella produzione culturale dell’amministrazione sia solo marketing concettuale: linguaggio sciatto e frettoloso (“identificare criteri, metodologie e percorsi per identificare la qualità professionale dei docenti”), gerarchia degli argomenti confusa, impianto visivo e comunicativo sconcertante.
La valutazione – di sistema, gruppi, singoli docenti, competenze degli alunni – è un tema complesso, che ha certo subìto l’avversione di sindacati e di parte dei lavoratori, ma altrettanto la difficoltà (indagata, studiata, interpretata) di determinare criteri condivisi, probanti e trasparenti per pratiche e metodologie che non fanno parte storicamente della cultura del nostro Paese. E che oggi vengono sventolate come “bastone” di un’amministrazione incauta e incapace, al quale far corrispondere la “carota” di un premio in danaro evocato, ma ancora non quantificato (il 30% del ricavato dalla falcidia di posti di lavoro e di mancati finanziamenti alle scuole programmata dalla Finanziaria del 2008, che hanno fruttato allo Stato 8 miliardi di euro: ma dove sono?).
L’ambiguità dell’operazione – la demagogia ad essa sottesa che occhieggia a parole d’ordine di facile impatto (merito, premio, rendimento, performance) – è stata evidente per i collegi docenti di Torino, chiamati a discutere la propria adesione al progetto entro la pausa natalizia e che si sono in massa rifiutati, salvo il caso di 1 liceo, sulla cui delibera si è irritualmente espresso in modo decisivo il preside. Tra le operazioni mediatiche gelminiane si tratta della più imbarazzante: non riuscendo a trovare 15 scuole nella città di Torino il ministero ha rilanciato infatti all’intera provincia; a Napoli – l’altra città campione – stessa storia: cercasi disperatamente cavia per istituzionalizzare guerra tra poveri.
Intanto, considerando la mancanza di protagonisti, il termine per la presentazione delle candidature è stato spostato dall’inizio della pausa natalizia al 7 febbraio e sono state coinvolte anche le scuole della provincia di Milano. Un estremo, imprudente e indecoroso tentativo di annacquare definitivamente a forza di spot l’idea che – come in molti Paesi europei – la valutazione possa rispondere ad un esplicito e ragionevole insieme di valori e di variabili (complesso, come complesso è il sistema scolastico) individuati per intervenire scientificamente a migliorare la scuola e non per millantare credito e serietà.
“Fin dagli inizi del propri o mandato il ministero ha enunciato tra gli obiettivi politici quello del riconoscimento del merito” recita una slide. Noto con piacere che la parola-tabù – politica – che non può più essere pronunciata impunemente da docenti e dirigenti, secondo le nuove prescrizioni ministeriali, viene associata alla scuola. Proprio perché la politica dovrebbe essere il luogo dell’interesse generale, i premi promessi da Gelmini (destinati in due città a intere scuole medie; altrove a singoli insegnanti) presentano un concetto di “merito” fantasma, fondato su successo nei test Invalsi e “indice di gradimento” di studenti e famiglie. Un parametro che ignora variabili che chiunque viva nella scuola conosce e considera; e un’ entrata a gamba tesa sulla libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione.
Del resto è evidente la volontà di ridurre luoghi di esercizio del pluralismo a erogatori di pensiero unico: rende di più nel produrre consumatori acritici e crea meno problemi. Le slide citano una commissione, cooptata dal ministero lo scorso anno: un partnerariato tra Fondazione Agnelli, San Paolo e Treellle è responsabile della progettazione, i cui risultati – se si riuscisse a coinvolgere le scuole – saranno monitorati da un Comitato tecnico-scientifico di indubbia fedeltà e innegabile spirito aziendalista: Giorgio Israel (strenuo difensore della riforma universitaria), Andrea Ichino (fratello dell’inventore delle parola “fannullone” nella P. A., e non me ne voglia Brunetta), Attilio Oliva, Giovanni Biondi, Giuseppe Cosentino.
“Ogni operazione di valutazione, che per sua natura è fondante di una norma (nel duplice significato giuridico-filosofico e geometrico-politico), per non essere mistificatoria e quindi inerentemente mendace e regressiva dovrebbe esplicitare quale sia il sistema di valori a cui fa riferimento, così come dovrebbe esplicitare la classe di oggetti a cui viene applicata. L’annuncio del Ministro Gelmini di voler procedere alla sperimentazione in alcune provincie di procedure di valutazione delle scuole e di premialità dei docenti “migliori” ricade a nostro giudizio proprio in questa categoria, delle operazioni politiche dal significato ambiguo e pertanto “pericoloso”, poiché, ricordando il Kant della Pace perpetua, tutto ciò che non può essere dichiarato pubblicamente è eticamente ingiusto”, scrivono Moretto e Tassinari Anche per la valutazione, come per tante altre partite, altrettanto significative, il ministero preferisce la strada dell’improvvisazione e dell’incertezza del diritto.
Non è una novità. La novità – interessante e positiva – è il fatto che, dopo un disperante sopore, le scuole rialzino la testa, esigendo rispetto delle professionalità e della propria funzione culturale: non è il battere di tacchi e la posizione di attenti allo sventolio di un pugno di euro che Gelmini si aspettava.
Marina Boscaino è insegnante di ruolo di italiano e latino presso il Liceo classico "Plauto" di Roma. Giornalista pubblicista (l'Unità, il Fatto Quotidiano), fa parte del comitato tecnico-scientifico dell'associazione professionale "Proteo Fare Sapere": www.proteofaresapere.it.