Dopo la depilazione, le lampade abbronzanti, lo sfoltimento delle sopracciglia, l’uso di creme idratanti, l’abuso di profumazioni floreali e sfavillanti orecchini, tutte vanità considerate esclusivo appannaggio del femminile, ecco un nuovo ingresso: il ritocco alle labbra per gli uomini. «Le richieste tra i miei pazienti sono aumentate del 40%», spiega Patrizia Gilardino, chirurgo plastico di Milano e socio della Società Italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre). «Non parliamo delle cosiddette “labbra a canotto”, ormai piuttosto in disuso anche tra le donne, quanto di piccoli ritocchi in grado di restituire volume e, quindi, capacità seduttiva, tra gli uomini». Il metro-sexual (metropolitan-heterosexual) è fra noi inesorabilmente, narcisista non pentito, con il quale condividere il nostro beauty.
Tacchi alti
Mentre Fred Astaire volteggiava con le sue scarpette leggere, Ginger danzava in tacchi alti. Plateau, zeppe e stiletto (12 centimetri): parole d’ordine per tutte le ragazze. Così i passi si fanno veloci e incerti, i fianchi ondeggiano, il viso si alza, lo sguardo si fa fiero e pieno di sfida. Una questione di equilibrio. Aggressiva e sexy siano a cono, a banana o a spillo, la donna del XXI secolo s’inerpica sui tacchi alti. Scarpe che assomigliano più a macchine da guerra che a vere e proprie calzature, strumenti di tortura, elementi feticistici, armi di difesa, di seduzione, di differenziazione sessuale o solo simbolo del women’s power? Eppure un tempo i tacchi li portavano anche gli uomini, servivano ai cavalieri per ancorarsi alle staffe delle selle dei cavalli, i nobili francesi li volevano rossi come segno distintivo, Cesare li indossava per alzarsi un po’, ma non erano ancora a spillo, e la serie televisiva Sex and the City lontana secoli. È proprio Carrie Bradshow, protagonista del serial americano, a sdoganare lo stiletto (arma bianca simile al pugnale) dal boudoir e glorificare la passione delle scarpe, che un tempo era confessata solo da Imelda Marcos. Con Carrie che ama le Manolo Blahnik più di sé stessa, che spende una fortuna in scarpette da Cenerentola, il mondo femminile si sente libero di dichiarare la propria passione per le scarpe o quello che rimane di loro, ma il tacco deve essere alto, anzi altissimo, dare le vertigini. E che stiletto sia. Figlio della tecnologia industriale, prima con un’anima di acciaio poi tutto in plastica, nasce negli anni Cinquanta, ma è ancora discreto, il più alto raggiunge i sette cm al massimo ed è il complemento ideale per i tailleur di Dior che vuole la donna-fiore inguainata in giacchine strizzate e gonne a corolla. Quell’immagine femminile zuccherosa se ne è andata, ma i tacchi sono rimasti. Se si è negate nell’indossarli e più che femmina ci si sente papera si può chiedere l’aiuto di uno “stiletto trainer” (www.stilettofitness.com), dopo avere appreso l’arte si può partecipare alla corsa in tacchi (www.corsasuitacchi.it), e se si è un po’ giù di tono basta ricordarsi che camminare sui 12 sollecita i muscoli pelvici e aiuta a provare maggior piacere. Come definirli inutili?
Fatto a mano
In tempo di crisi economica ed insieme etica fiorisce una nuova attenzione nel settore della moda (che si trasformerà quindi in desiderio-necessità) rivolta verso prodotti che portano in sé valenze forti come il lavoro artigianale, che raccoglie ed esplicita un mondo fatto di abilità, passioni e tradizione, dove l’apporto umano fa la differenza. Se sino a ieri il prodotto industriale griffato o falsamente griffato, frutto di un consumismo quasi patologico (ad alto tasso di inquinamento ambientale) era l’oggetto illusorio di un grande o piccolo lusso simile a quelli d’élite, oggi compiuta la grande operazione di “democratizzazione” dell’oggetto inutile o alla moda, il desiderio, anche se inespresso e inconscio, cambia direzione. Le nuove campagne dei marchi industriali puntano su una comunicazione che si appropria del concetto “fatto a mano” perché la tendenza è nell’aria ed è tangibile, perché il marketing teme una sensibilizzazione da parte del consumatore che potrebbe non cedere più al fascino indiscreto della griffe e ai relativi testimonial da red carpet. E chi arriva per primo vince: la sfida è aperta.