Norberto LENZI – Legittimo impedimento: i partiti scardinano i principi fondativi dello Stato
12-04-2010Il ministro Bondi (di cui è stato incivilmente detto che ha quel colorito malsano dei comunisti andati a male), cominciando a rimbombargli nella testa un tam-tam che annuncia il sollevamento della questione di costituzionalità sul legittimo impedimento da parte dei giudici di Milano, con il consueto ed amabile rispetto delle prerogative dei giudici nella divisione dei poteri, ha così commentato: “Decisione che manifesta una proterva mancanza di rispetto nei confronti delle istituzioni”.
Ma tale evenienza sarebbe soltanto l’avveramento della profezia di un uomo che, per conoscenza dei fatti e della questione giuridica, pareva tra i più legittimati a lanciarla. L’avvocato Piero Longo, difensore di Berlusconi, in tempi non sospetti ammise “il legittimo impedimento finirà certamente davanti alla Corte”. E lo diceva con cognizione di causa (anzi, di cause) perché in ben due occasioni (nel 2001 a proposito di Previti e nel 2008 per il Lodo Alfano) la Corte ha recintato con paletti insuperabili i casi nei quali il legittimo impedimento può essere invocato.
In ogni caso non con legge ordinaria. E allora che cosa si è inventato? Che questa legge non conta perché è solo un ponte (l’unico al mondo che richiede 18 mesi per percorrerlo) che approderà ad un Lodo Alfano costituzionale. Come dire un’opera abusiva con sanatoria incorporata. In tanti, con Berlusconi in testa, si accingono a percorrerlo incuranti delle irregolarità e della mancanza di collaudo sapendo che, se ci si tiene tutti ben stretti per mano, si arriverà senza pericolo dall’altra parte.
E molti non si avvedono che proprio quando si sarà dall’altra parte cominceranno i pericoli seri, perché si sarà consentito (da parte di tutti) che vengano stracciati i principi fondativi dello Stato di diritto e tutto poi sarà permesso e dovrà essere tollerato. La responsabilità non può essere di uno solo. Ricordate Petrolini che, di fronte ad un energumeno che disturbava lo spettacolo (il quale pure ha le sue regole) disse: io non ce l’ho con te, ma con i tuoi vicini che non ti buttano di sotto.
È diventato insopportabile il modo irridente con il quale i politici si rivolgono alla opinione pubblica. Di fronte a fatti che configuravano clamorose violazioni di legge la risposta dei partiti è stata quella di negare ogni sanzione nei confronti dei responsabili fino a quando non vi fosse stato l’accertamento giudiziario di una responsabilità penale, ben sapendo come i ritmi della giustizia siano lentissimi e come con qualche legge ben congegnata si possono allungare ancora di più.
Questa politica ha rinunciato all’orgoglio della sua missione, lasciando i magistrati con il cerino in mano a inseguire brandelli di legalità, esposti a rischi e a tentazioni.
Abbiamo cercato di spiegare in mille modi che consentire le intercettazioni non più quando sussistono “gravi indizi di reato” ma solo quando vi sono “evidenti indizi di colpevolezza” è un non senso. Oggi il ministro Alfano si mostra magnanimo e dialogante dicendosi pronto a modificare l’aggettivo “evidenti”. Mancino ha giustamente risposto che il problema vero sta nel sostantivo “colpevolezza”. Se fosse persona spiritosa avrebbe potuto dire che tra l’aggettivo e il sostantivo intercorre la stessa differenza che c’è tra il fumo e l’arrosto.
È chiaramente una presa in giro, ma non vedo reazioni adeguate. Anzi tra poco arriverà qualche solenne invito ad abbassare i toni. Ma più bassi di così non si può, non si sente niente. Viviamo ormai in un paese di sordi dove la sordità (che è un difetto e non un valore) è bipartisan. Lo squillo di tromba che prima o poi ci sveglierà verrà da destra o da sinistra? Nella nota poesia arriva prima da destra*.
* «S’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo», Manzoni che racconta battaglia tra gli avventurieri di Filippo Visconti e gli avventurieri del Conte di Carmagnola.
Norberto Lenzi, magistrato in pensione. Pretore a San Donà di Piave e a Bologna fino all'abolizione delle Preture (1998), è stato giudice unico del Tribunale e consigliere della Corte di Appello di Bologna.