La donna era in ospedale pestata dal marito. Le asportarono la milza. Sembrava potesse farcela.
“Riuscirai a perdonarlo?” le ha chiesto Lucia.
“Se non lo perdono io, chi lo perdonerà?”.
Morì poco dopo, quasi all’improvviso.
Rendo omaggio alle donne d’Africa, alle donne dei paesi dei Grandi Laghi.
Alle donne che risalivano dal lago alle sei del mattino, con la gerla già piena di sabbia bagnata con cui riempire un fusto per una casa in costruzione. Capaci di alzare la testa da sotto il peso e salutare con un largo sorriso. I primi spiccioli della giornata. Poi via, per i campi lontani dalla città, scalze, la gerla con la zappa sulle spalle. E magari anche l’ultimo nato, da deporre all’ombra, mentre si chinano sotto il sole a coltivare.
Rendo omaggio alle donne al lavoro nei campi, spazio di libertà e creatività ove far crescere e moltiplicare la vita: che raccolgono e sbucciano la manioca, ne riempiono la cesta e tornano insieme liete, camminando per chilometri, sotto il sole delle due. E poi il fuoco da accendere, il cibo da preparare per tutti, il profumo che inonda l’aia e tutti che attendono da loro il cibo. E vederli mangiare tutti con gioia e orgoglio. E finalmente sedersi a mangiare, magari in cucina.
Rendo omaggio alla loro intelligenza volta a proteggere la vita, al loro provvedere a ogni cosa. Alle donne al mercato, finalmente sedute, che vendono il sovrappiù per procurare un poco di pesce, di sale, un vestito ai figli e magari anche qualcosa di bello per loro. Basta così poco perché facciano festa.
Rendo omaggio alla loro bellezza luminosa, regale, ignorata, che la fatica spegne presto, ma solo in apparenza. Rendo omaggio a queste donne, che trovano il tempo per prendere il quaderno e andare ad imparare a scrivere, e capire così che non è vero che sono meno intelligenti, alla festa di leggere le prime parole, il libro dei canti, la lettura in chiesa.
Rendo omaggio a queste donne, regine a ogni maternità. Che sanno chiamare Désiré (Desiderato) anche il nono figlio, e che ricorrono ai metodi delle “nascite desiderabili” piuttosto per averli, i figli.
Rendo omaggio alle donne morte nel dare la vita, con semplicità, come un’avventura di cui sapevano da sempre il prezzo.
Rendo omaggio a queste donne per le umiliazioni nascoste, i tradimenti subiti, le speranze deluse, la capacità di stare per amore dei figli. Per le volte che qualcuno ha detto loro che erano inferiori, serve, incapaci, per tutte le decisioni subite senza essere interpellate.
Rendo omaggio a loro, soprattutto per questi lunghi anni di guerra, a loro che portano il peso dell’impresa, quasi impossibile, di nutrire la famiglia. Al coraggio delle loro riunioni clandestine in città, non in nome di chissà quali alternative politiche, ma dei loro figli e dei loro mariti resi merce di scarto dall’arruolamento forzato, dalla mancanza quotidiana di cibo. A loro che hanno per mesi rifiutato di mandarli a scuola. A loro che hanno marciato con il seno scoperto per dire l’inutilità del loro dare la vita, di fronte ai continui massacri. A loro che si sono vestite a lutto, che hanno scioperato da ogni attività, che vendono le merci in casa per non pagare al mercato la tassa dello “sforzo di guerra”, la guerra contro il loro popolo.
Rendo omaggio ai loro piedi che fanno chilometri e chilometri per trovare da qualche parte del cibo che costi meno, che accettano l’umiliazione di varcare la frontiera a comprare, tassato, un cibo prodotto nel loro paese, purché i figli mangino.
Rendo omaggio alle loro mani callose che conoscono fin da piccole il lavoro, che sanno condividere con la vicina il niente che hanno.
Rendo omaggio al loro grembo offeso da una guerra fatta contro di loro per uccidere il futuro di un popolo.
Rendo omaggio alle donne spesso scientemente infettate da HIV come tecnica di guerra.
Rendo omaggio alle ragazze umiliate alla stessa maniera mentre andavano all’acqua o al campo e di colpo diventate solo buone per la strada. A queste donne usate e umiliate. A quelle che hanno preferito morire atrocemente, pur di non essere violate.
Rendo omaggio alla loro capacità di danzare, malgrado tutto, alla nascita del figlio della vicina o negli incontri liturgici, ultimi spazi di libertà rimasti. Alla loro capacità di ridere, mai del tutto spenta.
Rendo omaggio alla loro fede nel Dio quotidiano che lotta con loro e mediante loro per proteggere la vita, armata debole ed enorme della vita contro gli eserciti di morte.
Rendo omaggio a Colui che le ha inventate, per dire oggi che la vita si guadagna, si difende, si protegge con la vita. A questa Eucaristia continuamente da esse celebrata nella fatica di una vita data. Le loro storie, chi mai le racconterà?
Ma da qualche parte un libro è scritto, che conosce ogni loro passo. Non sono tutte sante. Ma conoscono che l’amore è fatica, l’amore fa male.