La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Subcomandante Marcos: “Emigrare per fame ruba la speranza”

30-11-2009

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Intervista al guerrigliero che scuote il Messico schiacciato dai grandi proprietari della terra e della politica

– Comandante,  è  possibile  una nuova rivoluzione.

“È possibile. Simile a quella del 1910, non per quanto riguarda l’aspetto militare, ma per lo sconvolgimento dell’intero sistema politico e la rifondazione del Paese. Il problema è che tipo di Paese si rifonda, chi prenderà la parola; perché se è la classe politica attuale, il Paese non verrà rifondato, verrà solo rinnovata la sua classe dirigente. In questo caso arriveranno altri e faranno le stesse cose.

Noi siamo in un processo per cui sentiamo questo, lo vediamo e ci chiediamo: “qualcun altro lo vede?” e qualcuno ci risponde “sì”. In quella direzione va la Sesta Dichiarazione. Lo abbiamo notato nella Bassa California del Sud, dopo aver navigato in battello diretti a Los Cabos, lungo tutta la strada c’erano solo cartelli For sale e ci chiedevano: ‘Non sembra di essere in Nord America?’. Risposi: ‘No, sembra la strada che va da Chetumal a Cancun’ perché c’erano gli stessi cartelli, addirittura delle stesse agenzie immobiliari. E dappertutto abbiamo visto questa unione di distruzione del territorio e spoliazioni. Sono gli stessi gruppi che si stanno muovendo che si radicalizzano di più. Per esempio alcuni gruppi che sono nati con delle finalità puramente ecologiste e sono poi giunti alla conclusione che la responsabilità dell’eco strage è del sistema, non solo di una cattiva amministrazione. Ci diceva una compagna che lavora in un’organizzazione ecologista nella penisola dello Yucatan: “Il problema non è che il governo non fa le leggi per proteggere la natura, ma che le promulga per distruggerla e i funzionari non sono deficienti, ma efficienti, solo che il loro obiettivo non è la conservazione”. E si compie anche il processo di radicalizzazione di una gioventù che non ha nessuna aspettativa, neanche come sottoproletari o come delinquenti, e i gruppi di donne che estremizzano ulteriormente la loro posizione ormai non solo in relazione alle questioni di genere, ma anche rispetto al sistema. Quindi cominciano a sorgere molti gruppi creativi e con le proprie storie di resistenza: questo è ciò che abbiamo riscontrato nella Otra Campaña.

– Mentre seguivi questo percorso e questo esercizio d’ascolto, che cosa è successo dentro di te con tutto questo carico di sofferenze, denunce e indignazione? . Durante la  prima intervista, Marcos mi aveva parlato di come nel suo viaggio verso il nord del Messico avesse scoperto un Paese lacerato dalla migrazione e una natura devastata dal governo e da imprese voraci.

“ Anche nel 1992 abbiamo fatto raccolto le testimonianze delle comunità e abbiamo ritrovato le stesse cose. Dopo questo viene il 12 ottobre, i cinquecento anni della presunta Scoperta dell’America, e poi il 1993 e il 1994. Abbiamo visto molta disperazione nelle comunità e abbiamo pensato: “Che cosa manca? Che questa gente venga avvicinata e gli si parli della lotta armata? O che loro stessi cerchino i propri mezzi in modo spontaneo? O che, una volta immersi nella disperazione, si sollevino?”. Di fatto dappertutto l’unica valvola di sfogo era la migrazione. E quando si chiuderà per davvero la frontiera, quando si fisseranno le barriere e i filtri che si vogliono mettere, allora non ci sarà più nemmeno quella scappatoia. E quando metti la gente alle strette, insorge. Noi crediamo che ci debba essere un minimo di organizzazione per evitare un disastro “.

– Sì, ma io parlo di te come essere umano –, ripeto – dato che ascoltare, per cominciare, non è facile. Inoltre tu, insieme a quelli che ti hanno accompagnato, hai girato il Paese e sei stato una specie di filtro per tutto questo fardello di sofferenze e denunce, come hai percepito questo processo?

“ Molto contraddittorio, perché non appena uno diventa un politico, molto sui generis, però un politico, corre il rischio d’identificare in ogni situazione problematica i segnali di un’insurrezione. E non è così. Il dolore non si traduce necessariamente in ribellione. Molti errori che ha commesso la sinistra mondiale sono stati causati da questa confusione: dove c’è una situazione di miseria, c’è necessariamente un potenziale di trasformazione. E invece no. Allora quello che dovevo fare era rispettare il limite, non andare oltre ciò che stavano dicendo le persone senza interpretare, perché chi ascolta, interpreta, non è vero? – tono pungente. – Alla fine è quel che fa un giornalista. Ed era la tentazione che si doveva evitare perché potevo ritornare e dire ai compagni: “Il Paese è pronto per la rivolta poiché sta soffrendo espropriazioni, sfruttamento, repressione, sequestri”; e invece no, questo non vuol dire che la gente insorgerà perché manca qualcosa, che è differente in ogni luogo.

– E cos’è questo qualcosa?

È quello che non sappiamo. – Risponde con franchezza.

– Un episodio di repressione? – Sto pensando, pensando ad Atenco.

No, dato che in molte occasioni la repressione scatena la ribellione ma altrove la frena. La tentazione che io avevo era di dire: ‘Risolvetela così’, però abbiamo ritenuto che non si trattasse d’esportare la nostra esperienza quanto il contrario: dovevamo imparare. Quindi abbiamo pensato: ‘ Cosa manca in ciascuna regione perché si compia un processo di trasformazione?’. Non possiamo saperlo noi e dobbiamo rispettare quanto diranno gli abitanti di ogni regione per poter così cercare di riallacciare il ragionamento sottostante a quella conclusione e determinazione in tutto il Paese. Questo è il problema di fondo della Otra Campaña: evitare la tentazione di creare degli eroi e dei martiri rispettando il processo in ogni zona. Nonostante le sofferenze siano uguali a Chetumal, che sta da una parte, e a Tijuana, che si trova al capo opposto, il processo, da qualsiasi parte lo si voglia inquadrare, è differente così come il modo in cui si assimilano quelle sofferenze e si trasformano in un’organizzazione. È diverso l’orizzonte che si prospetta l’indigeno maya di Carrillo Puerto de Chetumal da quello che si vive a Tijuana. ( ndr. frontiera con gli Usa. Da qui partono miglia di clandestini verso gli Stati Uniti. I suoi caffè lungo la main street sono bordelli a cielo aperto. Settant’anni fa un vecchio produttore di Hollywood si è incapricciato da una ragazza dai capelli rossi: Rita Cansillo, 16 anni, entraineuse. L’ha portata nei suoi studios ed è diventata Rita Hayworth ).

– E tu come li interiorizzi?

Ciò che facciamo  è cercare di confrontare quanto ci viene riferito in altri posti e conoscere a fondo la nostra storia. Nel 1994 poco a poco si faceva strada l’idea che l’Ezln sarebbe insorto nel Chiapas date le sue condizioni di miseria. E noi dicevamo: “Un attimo, ci sono altre situazioni di miseria simili a quelle del Chiapas e non è accaduto lo stesso, perché?”. Non hanno mai trovato una risposta perché è una domanda posta dall’esterno. Quello che ha fatto la differenza qui in Chiapas è stato il processo di partecipazione della gente. Anche negli Stati di Oaxaca e Guerrero c’erano gruppi armati come in Chiapas, ma non è successa la stessa cosa perché ogni luogo è differente. Ci manca quindi una visione su questo, dobbiamo osservare più a fondo e ascoltare di più.

– Su quale filosofia fondate l’idea che è indispensabile ascoltare di più?

È quasi personale, perché il nucleo fondatore dell’Ezln, oramai non più con le buone ma realmente solo con le cattive, è obbligato a cambiare il suo modo di fare politica, è obbligato ad ascoltare, altrimenti non va avanti. È quanto stiamo applicando adesso: non andare a parlare e parlare ma ad ascoltare perché stiamo cercando di ricreare quello che ha significato per noi crescere ed essere ciò che siamo stati per poter arrivare al 1994. Quando abbiamo smesso di parlare, oppure abbiamo parlato meno e ascoltato di più, è stato realmente quando siamo entrati nelle comunità, quando abbiamo iniziato a rispettarle.

– Suona come una filosofia millenaria- penso a voce alta.

Sì, ci sono tante filosofie nel mondo e sicuramente deve esserci una somiglianza con qualcuna di esse ma non viene da lì.

– In questo vostro ascoltare, che ne è di quelli che credono alla via parlamentare ed elettorale? Hanno spazio dentro la Otra Campaña?

Non ne abbiamo trovati. Non abbiamo incontrato nessuno nella Otra Campaña che ci credesse. Più o meno all’inizio, nei primi Stati accorreva molta gente con le proprie richieste. Pensavano che era come nel 2001, quando siamo andati al Districto Federal per dialogare con il Presidente durante la Marcha del Color de la Tierra, e ci consegnavano il fascicolo relativo a un problema della terra o di qualche detenuto, però erano una minoranza e ogni volta furono di meno finché non sparirono. Per altro manca sempre una domanda che non è mai stata posta dall’altra parte, visto che s’insiste molto sulla presa di distanza dell’Ezln dalla sinistra istituzionale. Tuttavia non c’è mai stato un tentativo della sinistra istituzionale di avvicinarsi a noi. López Obrador non ha mai cercato di tenderci la mano per una ragione fondamentale: non avevano bisogno di noi. E continuano a pensare che non hanno bisogno di noi. La Otra li sta ripagando con la stessa moneta: noi non abbiamo bisogno di loro. L’Ezln apporta esperienza. Non stiamo parlando di un’utopia o di cosa succederebbe se prescindessimo dai partiti politici. Ne è una prova quello che s’è ottenuto nelle comunità, ciò che s’è raggiunto senza i politici di professione.

Laura Castellanos è giornalista e scrittrice.
 

Commenti

  1. Lorenzo

    Hasta la Vittoria, comandante Marcos!

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