Claudio Gatti, Fuori orario. Le prove del disastro FS, Chiarelettere, 2009
Mi ero ripromessa di non farlo, di non consigliare questo libro come lettura “da treno”. Chi legge nell’usuale tragitto casa-lavoro-casa cerca di distrarsi, di dimenticare almeno per un po’ le brutture che lo circondano, di riempire le decine di minuti di ritardo con storie piacevoli, avvincenti o poetiche; non ha certo bisogno di libri che lo riportino crudamente alla realtà che è già costretto a sperimentare ogni giorno. Poi, però, una notizia letta sul giornale mi ha fatto cambiare idea: dopo averci riflettuto per un semestre (con tempi rigorosamente ferroviari), nei primi giorni di maggio l’ingegner Mauro Moretti e l’intero gruppo Ferrovie dello Stato hanno citato in giudizio Gatti e l’editrice Chiarelettere, chiedendo l’irrisoria cifra di 26 milioni di euro per danni morali e quant’altro. Ventisei milioni di euro: tanto valgono l’onore e la reputazione dell’amministratore delegato di Trenitalia e dell’azienda che rappresenta.
Secondo FS, infatti, l’inchiesta condotta da Gatti sulle ferrovie italiane racconterebbe cose non vere, o comunque non più vere da quando l’impareggiabile Moretti (sì, proprio quello che, nell’inverno scorso, ai viaggiatori bloccati sui convogli in mezzo alla neve consigliava di portarsi panini e coperte) è assurto ai vertici aziendali. Dunque i ritardi, la sporcizia, il sovraffollamento, la mancanza di organizzazione, le soppressioni inconsulte di treni sarebbero solo un ricordo ormai lontano, aneddoti da raccontare ai nipotini. Senza voler entrare nel merito della questione (a deciderne saranno le autorità competenti), c’è allora da chiedersi se quanti vivono la condizione di pendolare siano vittime di un’allucinazione collettiva. Perché l’esperienza di chi viaggia sui binari racconta storie ben diverse.
Racconta di ritardi variabili raramente ammessi dai display, che forse scandiscono un’altra dimensione temporale, purtroppo inconciliabile con quella delle macchinette che timbrano i vostri cartellini quando arrivate al lavoro.
Racconta di carrozze luride ben oltre l’immaginabile, e non a causa di occasionali briciole sparse, testimonianza di recenti colazioni o pranzi improvvisati, ma di sporcizia “stagionata”, appiccicata da mesi al pavimento, ai finestrini, ai sedili e su su fino ai poggiatesta, dove nessuno osa ormai poggiare alcunché. Per tacere delle toilette, che al sol pensier il cuore si spaura.
Racconta ancora di storiche sudate estive, al limite della liquefazione, a bordo di treni con aria condizionata non funzionante ma finestrini debitamente sigillati, oppure di formidabili raffreddori collezionati grazie all’assenza di riscaldamento nella stagione invernale. Il che porta inevitabilmente a considerare il problema della manutenzione, così carente da provocare non solo disagi ma autentici disastri, come nel caso – tragicamente eclatante – di Viareggio. E racconta infine (ma solo per non tediare oltre) di lunghe attese sui binari per cedere il passo a sfavillanti Frecce Rosse (assemblate con materiale riciclato e truccato alla bell’e meglio per non sfigurare in Europa) che, in vergognoso ritardo, sgomitano sulle vecchie e congestionate linee pendolari, perché in prossimità di grandi centri come Milano e Bologna la linea dell’Alta velocità non esiste.
Insomma, per l’ingegner Moretti la lettura di Fuori orario deve aver rappresentato un ben brusco risveglio dal sogno di aver realizzato un’opera molto prossima alla perfezione. Comprensibile, dunque, che si sia innervosito, anzi, inferocito, a giudicare dalla reazione: 26 milioni sarebbero un’enormità persino per un colosso dell’editoria, figuriamoci per una casa editrice come Chiarelettere. Che il messaggio sia: “Colpirne uno per spaventarne cento”?
Ebbene, spiace deludere l’ingegner Moretti, ma chi spreca ogni giorno parte della propria vita a causa dei suoi treni in ritardo, chi è costretto a viaggiare ammassato tra sporcizia e fetore, chi subisce scelte imposte dall’alto e mai spiegate, non ha alcuna intenzione di lasciarsi intimorire. I pendolari non rinunceranno a leggere, a informarsi, a discutere e, soprattutto, a far sentire la propria voce. Così, le azioni legali intentate da molti di loro contro Trenitalia andranno avanti, nella certezza che nessun giudice di pace potrà negare l’evidenza: viaggiare sulle ferrovie italiane provoca dei danni, come è già stato riconosciuto dalle numerose sentenze favorevoli che l’Associazione pendolari di Piacenza ha messo nel carniere.
Pur non potendo vantare la potenza di fuoco di un amministratore delegato, i pendolari hanno dalla loro il numero: sono tanti, ingegner Moretti, piccoli ma tanti. Come zanzare continueranno a disturbare il suo sonno ronzandole nelle orecchie i loro diritti, e come formiche marceranno determinate per affrontare le FS (acronimo forse di Formichiere Supremo?) e dimostrare che “anche le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano”.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.