Suppongo che sia costruttiva la polemica ancor più fra noi. Così mi fa piacere mettere il mio pensiero a fianco di quello di Raniero La Valle, con cui l’amicizia è per me storica sia per gli anni, sia per gli intrecci di vita.
Sarà che sono reduce da un’iniziativa a Torino sul 150° dell’Unità che ha favorito il ripensamento del difficile percorso storico dell’istituto parlamentare, ma voglio puntualizzare una questione: Raniero dice che i referendum hanno rappresentato anche “una sfiducia inflitta alle Camere”.
Secondo me è scorretto: se io o Raniero fossimo ancora in Parlamento non sentiremmo assolutamente di avere perduto la fiducia dei nostri elettori, nonostante le continue mortificazioni che il senso dello stato ha subito in questi anni. Il Parlamento può venire umiliato, violentato, qualcuno disse che ne avrebbe fatto “strame per le sue legioni”; ma come istituzione supera anche i deficit di democrazia, soprattutto se i governi, buoni o cattivi, sono stati voluti dal voto popolare.
Le Camere, il Parlamento non sono “di Scilipoti” neppure in via di metafora. La Costituzione repubblicana ha riscattato le violenze subite dal fascismo; tuttavia, secondo me, anche in quei tempi, i partiti non furono all’altezza delle necessità storiche: l’esempio di Matteotti o degli aventiniani segnano differenze non trascurabili. Mussolini seppe di aver vinto moralmente quando vide che solo pochi professori avevano il coraggio di rifiutare la tessera del regime: così la Camera passò ai fasci e alle corporazioni. Berlusconi, anche se Previti minacciava di non fare prigionieri, ha messo la gente nella galera mediatica: il guasto non è minore, anche perché ha abituato al potere unico di chi governa e ritiene le Camere una perdita di tempo (non è sembrato allarmante neppure lo stop ai lavori parlamentari per denunciare l’assenza colpevole di leggi da discutere e approvare voluto due anni fa da Fini).
Non sono sicura che tra i molti che non solo sono contenti per l’esito dei referendum – e figurarsi se non lo sono anch’io – ma semplificano pensando che “è fatta, torniamo a votare e cambiamo il governo” ci sia un grande rispetto dell’istituzione parlamentare. La “decostituzionalizzazione” operata da questo governo si fa sentire anche tra la gente bene intenzionata. Riceviamo denunce dei privilegi, spesso falsi, e delle indennità dei parlamentari, come se risparmiare sulle spese per deputati e senatori salvasse il bilancio, e non si pensa piuttosto al bene sostanziale di ridurre il numero dei parlamentari. Quasi nessuno sa che i costituenti stabilirono i termini delle “prebende” attribuendosi come parametro il penultimo livello della magistratura. Oggi, a partire dalle primarie, aumentano le spese per chi scende in campo dal basso, ma nessuno mette in guardia dal cambiamento di classe degli eletti in futuro. Tuttavia, anche con diverso censo dei suoi membri, le Camere resteranno democratiche.
Per questo io non attribuirò mai a Scilipoti la rappresentanza nemmeno di “queste” Camere, anche se molti miei concittadini lo hanno votato.
Viviamo un momento di grande confusione e non bastano 4 SI’ per sostenere che le cose sono già cambiate. Il divorzio e l’aborto – quest’ultimo con il 68% dei voti a favore del mantenimento della legge – sono stati rivoluzionari per la cultura del paese, ma non hanno determinato cambiamenti di maggioranza politica. Oggi la forma-partito è in crisi ovunque e anche negli altri paesi la democrazia è in crisi. E le difficoltà economiche non ne fanno prevedere il pronto recupero.
Berlusconi ci lascia una costituzione materiale delegittimante la Costituzione autentica del 1948. Sarebbe bene non solo aver ripreso affezione per il tricolore, ma ricondurre la pubblica opinione al rispetto delle istituzioni. Tutte, ma in particolare il Parlamento.
Giancarla Codrignani, docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature