Se anche Mauthausen diventa banale
11-08-2011
di
Paolo Collo
“Un romanzo straordinario”. “Scorre come un fiume in piena”. “Toccherà la vostra anima”. “Scuote la coscienza e svela l’orrore che la normalità cela”. Questi alcuni dei giudizi riportati sulla quarta di copertina del romanzo di Clara Sánchez, “Il profumo delle foglie di limone”, edito da Garzanti. Giudizi, a quanto pare, tratti dalla più accreditata stampa spagnola. Ma che invece spero inventati di sana pianta dall’ufficio promozione della casa editrice, visto il rispetto che si deve a testate come “El País” o “El Mundo”.
Sì, perché questo romanzo – in classifica tra i più venduti nel nostro Paese – è uno dei più brutti libri che ho letto negli ultimi mesi. Segno di un’operazione commerciale perfetta partendo da un prodotto di serie B? Segno di un mio madornale errore di giudizio? Lascio agli (sventurati) lettori l’ardua sentenza. Fatto sta che raramente mi è capitato di leggere un libro così banale, scritto malamente e tradotto peggio (come non inorridire di fronte a “stivaletti da trekking” o a un raffreddore tradotto con “catarro”?).
La storia, poi, non sarebbe nemmeno male: è quella di Julián, scampato ai campi di concentramento di Hitler, e ora cacciatore di criminali nazisti, e di Sandra, trentenne in crisi e in cinta in un villaggio vacanze della Costa Blanca, in Spagna. Qui incontrano i membri della Confraternita, sorta di associazione di ex nazisti ormai avanti negli anni. E qui comincia la “caccia”.
Ma è difficile descrivere la noia che accompagna le ben trecentossessanta pagine del volume. Dialoghi improbabili; ex criminali di guerra che fanno quasi tenerezza per stupidità e inettitudine; elisir di lunga vita che si rivelano essere banali composti vitaminici da parafarmacia; talismani di seconda mano; battute del tipo: “Il Führer era capace di innamorarsi mentre ogni suo minimo movimento provocava ondate di morte?”; internati a Mauthausen che fanno stretching la mattina appena alzati (sì, proprio così!); il protagonista che afferma che non gli piaceva andare al supermercato perché aveva cose più importanti da fare, “come seguire questo o quel nazista”; la protagonista che dice che quello che sta seduto dietro sul suo motorino la “ripara dal vento”; mucchi di cadaveri a Mauthausen definiti “una strana specie di branco color rosa cenere. E via con simili orrori, amenità, sciocchezze.
Non racconto come noiosamente si dipanerà la storia per non togliere nulla ai futuri (sventurati, lo ripeto) lettori. A ogni modo: tanto di cappello (si fa per dire) a chi è riuscito a prendere così bene per i fondelli decine o meglio centinaia di migliaia di lettori – in tutto il mondo – di un libro al massimo paragonabile a un titolo della serie Harmony.
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.