Due settimane fa ho letto, dalla sera al mattino, l’ultimo libro di Eraldo Baldini, L’uomo nero e la bicicletta blu. Da parecchio tempo non ridevo così tanto. Di pancia, non di testa. E si ride di tutto, a partire dall’Uomo Nero del titolo, che la Tugnina – mitica vecchietta di mitico luogo, una Romagna estesa, nutrita di uno stile e di un folclore universale, ovvero non da puristi o da micro-secessionisti – non smette di far saltar fuori per uniformare l’epilogo di tutte le fiabe del mondo in barba all’happy end:
Arrivava l’Uomo Nero e sul più bello, quando le cose pareva si stessero mettendo davvero bene, ingoiava tutta la compagnia. / [La Tugnina] Lo faceva persino con le fiabe più note, quelle che non possono finire in modo diverso dalla versione ufficiale […] – Non è vero! – gridavo, rosso in faccia. – Il Principe Azzurro e la Bella Addormentata si sposano e vivono felici e contenti! / La Tugnina sghignazzava e diceva: – Ma neanche per sogno! È l’Uomo Nero che vive felice e contento, e a pancia piena. / Una volta addirittura raccontò che Pinocchio, dopo tante marachelle e disavventure, si stava trasformando finalmente in un bambino in carne e ossa: rimaneva solo una gamba ancora di legno, ma era questione di pochi minuti e anche quella sarebbe diventata viva e normale. Ma cosa succede? Arriva l’Uomo Nero, mangia la parte di Pinocchio bambino e usa la gamba di legno come stuzzicadenti (pp. 40-41).
L’Uomo Nero, maiuscolo e inquietante, affascina, nel bene e nel male, tanto che il fratello minore di Gigi – Enrico, un bambino che ne sa una più del diavolo (anche di mattina, quando sembra in preda a una specie di abulìa) – domanda spazientito alla Tugnina quando la fiaba si fa troppo lunga e lieta: «Quand’è che arriva l’Uomo Nero? Ma è in ritardo, l’Uomo Nero?» (p. 41). E allo stesso Gigi – quando la mamma gli annuncia la morte della povera Tugnina in modo un po’ sospetto («Fa male soprattutto sapere com’è successo») – non resta che azzardare una domanda: «Se l’è mangiata l’Uomo Nero?» (p. 69).
Certo, possiamo dire cinicamente (criticamente) che la cosa era telefonata, come possiamo aspettarci, del resto, che l’Uomo Nero farà la sua apparizione e sarà Uomo e Nero per davvero; e avrà il potere di azzerare e portarsi via d’un colpo le risate di un mondo povero ma vero e felice quanti altri mai. Un mondo colto verso la fine del boom economico italiano, fra l’inverno del 1962 e l’autunno del 1963, un mondo che Baldini sintetizza intorno a un sogno o, meglio, a una quête riguardante la bicicletta blu che Gigi vuole acquistare, lavorando e risparmiando, come solo un bimbo che sta per diventare uomo può fare.
Già. Gigi, narratore interno protagonista, da fanciullo diventa praticamente adulto e lo fa pure prendendo in prestito, da Eraldo, alcuni dati più o meno immediatamente fruibili pel lettore: dalla data di nascita alla terra, dal genius loci a un senso di inferiorità, di disagio nei confronti di certe modalità esistenziali più rumorose, ‘paracule’ e meno assediate dalla malinconia, da un certo senso della fine.
Ma questi dati (che ci sono e, come dire, sono quasi il nucleo del mito personale di Baldini) non vanno assolutizzati, come non va assolutizzata la prevedibile parabola dell’intreccio. In effetti, se procedessimo in tal senso, non faremo che produrre una cattiva lettura del libro. Perché il mondo di Eraldo Baldini non è mai stato così cristallino, così intenso, così consequenzialmente preso da sé stesso e così poco distratto dalla trovata orrifica cui gli altri suoi volumi dovevano quasi sacrificarsi, e non sempre con risultati adeguati, tanto da farci sospettare che ci fosse sempre, in Baldini, qualcosa di incompleto (qualcosa che non tornava, e non soltanto a livello stilistico; a questo proposito, anzi, approfittando di questa parentesi, direi che non so fino a che punto Baldini abbia bisogno di un editor, che magari scassa invece di arrangiare!).
Non sto dicendo, si badi, che Gotico rurale, coi suoi racconti a orologeria, che Malaria, col suo finale che ti fa venir la pelle d’oca, quasi come quella che ti dà La casa dalle finestre che ridono, non siano prove riuscite e che la trovata orrifica di quei testi non sia in linea con il plot, con il suo esteso mondo romagnolo, percepito nel corso della storia, in seno all’infanzia e in un viaggio à rebours che racconta un oggi appena trascorso, uno ieri anche fascista e poi un passato ancestrale, chiave e misura del tutto, del Baldini storico della cultura e del folclore della Sua terra, antropologo e scrittore per editori come Longo, Moby Dick, Theoria, Frassinelli… prima di diventare un Einaudi «Stile Libero».
Dico solo che qui Baldini centra il bersaglio, meglio di quanto abbia fatto negli ultimi libri, perché, più di altre volte, lascia spazio alla vita, alla bellissima bambina di cui si innamora Gigi, Allegra, e al mondo che la storia di questi due granderrimi esserini apre e, per una volta, non chiude. E da questo punto di vista poco importa che l’Uomo Nero inneschi un finale drammatico che li coinvolge e che qui non sveliamo. Anche quantitativamente, all’orrore, in sé e per sé, non è dedicato tanto spazio nel libro. La morte, il male sono isolati. La fedeltà, il ricordo li hanno accettati ma non gliela danno vinta.
Insomma, la partita è ancora aperta, perché Gigi e Allegra, con la stupenda complicità di Eraldo, hanno un loro secondo tempo, da vivere nella memoria; e nella scrittura – ormai avviata a scrittura tout court (e non necessariamente di genere) – di Eraldo Baldini.
Luciano Curreri, nato a Torino nel 1966, è ordinario di Lingua e letteratura italiana all'università di Liegi. Tra i suoi lavori più recenti, citiamo "Pinocchio in camicia nera" (Nerosubianco 2008, II ed. corretta e aumentata 2011); "D'Annunzio come personaggio nell'immaginario italiano ed europeo (1938-2008). Una mappa" (Peter Lang 2008); "Mariposas de Madrid. Los narradores italianos y la guerra civil española" (Prensas Universitarias de Zaragoza 2009; ed. or. Bulzoni 2007); "Un po' prima della fine? Ultimi romanzi di Salgari tra novità e ripetizione" (1908-1915) (con F. Foni, Sossella 2009); "L'elmo e la rivolta. Modernità e surplus mitico di Scipioni e Spartachi" (con G. Palumbo, Comma22 2011).