Le recenti cronache italiane hanno riportato alla ribalta il nome di Riccardo Bacchelli, letterato da molte parti ribattezzato il Dostoevskij nostrano, sia per le somiglianze di impianto narrativo tra la saga dei Fratelli Karamàzov e quella de Il mulino del Po, ma anche per stile e capacità di intima penetrazione delle tipologie umane. Non sono certo questi, ahinoi!, i termini che hanno fatto accendere i riflettori sul nostro autore, di ben altro tenore le ragioni, e così futili peraltro da non riuscire a illuminarne nemmeno di striscio la sagoma. Il nome di Bacchelli è quasi sempre associato alla legge che da lui prende nome e che ha lo scopo di garantire un vitalizio ad artisti affermati ma disagiati economicamente. Alda Merini ne era, per esempio, una beneficiaria. Qualcuno ha sostenuto che anche Franco Califano, sedicente cantautore di noie e truci vicende di strada, dovesse essere un meritevole candidato, fortuna ha voluto che Striscia la Notizia, notiziario semiserio di Canale 5, abbia fatto irruzione nella sua casa romana (di proprietà) trovandovi un filippino al servizio. “Alla faccia dell’indigenza” ha gridato il telecronista e con lui tutti gli italiani! I riflettori ovviamente, dinanzi all’evidente maldestra fellonia, ben presto si sono spenti. Il nostro Ministro della Cultura e i suoi uffici, in altre gravose questioni intenti, poco si sono curati di cogliere la palla al balzo e rilanciare l’interesse per un letterato di valore i cui testi sono tutti fuori edizione. “Che stramberia! – avrà detto qualcuno – per quale motivo, dunque, una legge della Repubblica italiana prende nome da un autore di cui pochissimi ne conoscono le opere, addirittura fuori commercio?”. Le stramberie in Italia purtroppo sono all’ordine del giorno, la mia generazione ha ricevuto in eredità un paese lobotomizzato, dove le libertà individuali e collettive altro non sono che una continua e sfiancante mediazione tra poteri, dobbiamo mendicare financo il diritto alla parola di una cortesia, strano modo di estrinsecarsi della democrazia!
Ciò nonostante, possibilità di incontrare uomini di valore, di spessore culturale e civile ne abbiamo avute. Ma oggi quali punti di riferimento siamo noi diventati per chi è venuto dopo? Non ci sono stati atti di coraggio o d’amore, crescite effettive, pulsioni a venir fuori e distinguersi, abbiamo altresì assecondato l’immaginario certosinamente inculcato dai vari califfi italici. Ci siamo moltiplicati con le nostre defezioni, il risultato è l’avvicendarsi di una generazione inconsolabile, indescrivibile, inesprimibile. Quando guardo i volti e le movenze dei ragazzi di oggi mi vengono in mente i barbari studiati sui libri di storia, quei popoli che scendevano dal nord-est dell’Europa per saccheggiare tutto, lasciando dietro di sé devastazione e rovina. Le nostre devastazioni e rovine interiori, difatti, si stanno concretizzando e cristallizzando nei gesti dei fratelli minori, dei figli, dei nipoti, … quelle isolate scimmie degli stadi, che tanta indignazione in noi suscitavano ai tempi della scuola, ora sono l’ordinaria amministrazione, un fenomeno direttamente proporzionale all’assenza di sapere e del suo desiderio, fenomeno in crescita purtroppo, spalmato in tutte le azioni e direzioni del vivere civile, non solo al cospetto di uno spettacolo sportivo dunque.
Riappropriarsi del passato è il passaggio obbligato per rimboccare la retta via del progresso (da non confondere con quella della tecnica, vitello d’oro della contemporaneità), ma deve trattarsi di un recupero selettivo e coscienzioso, non certo cumulativo e inutilmente costoso, i musei – a mio gusto – si stanno moltiplicando in maniera vertiginosa, fra un po’ ne faranno uno anche per i toner delle stampanti… L’investimento sul passato non deve e non può fagocitare quello sul presente e sul futuro: occorre che ci sia un equilibrio e la gente al potere dovrebbe capirlo.
Il Comune di Bologna è sempre stato esemplare da questo punto di vista, pur mancando da anni un progetto culturale di ampio respiro: dopo la giunta Vitali, conclusasi nel 1999, pare sia stata una gara a chi poteva fare peggio sotto tanti punti di vista. Nonostante tutto, la città certe attitudini pare averle preservate dall’impoverimento della politica dei “grandi eventi”, ciò al merito dei funzionari e di alcune istituzioni locali. Nell’ottica di un recupero del passato e di favorire al contempo l’affermarsi del nuovo si inserisce “Adorate le stelle che non passano mai”: percorso notturno alla scoperta del Cimitero monumentale della Certosa, uno dei più belli d’Europa, insieme a quello di Parigi e di Roma. L’iniziativa, promossa dall’Area Cultura e dal Museo del Risorgimento, è nata dall’esigenza di richiamare l’attenzione della cittadinanza sull’urgenza di restauro della struttura in questione, soggetta a crolli e incuria. Sono stati chiamati all’appello alcuni artisti, attori e musicisti nello specifico, che potessero rileggere con la propria sensibilità l’opera di autori sepolti alla Certosa. Gli interventi sono poi stati inseriti in un percorso itinerante e guidato. A me è toccato l’onore di occuparmi di Riccardo Bacchelli, mi hanno coadiuvato il chitarrista Daniele Chiefa e il percussionista Max Messina: ne è nato un recital, “Il diavolo al Pontelungo”, che stiamo portando in giro per l’Italia. Quello che segue è il “programma di sala” che scrissi al debutto presso il Cimitero della Certosa il 30 settembre scorso.
IL CIELO SOPRA “LA CERTOSA”
“Quando il bambino era bambino” così cominciava la bellissima favola wendersiana de “Il cielo sopra Berlino”. Lo sguardo e la voce fuori campo dell’angelo “Damiel” Bruno Ganz (uno degli attori principali del film insieme, fra gli altri, a Peter “Tenente Colombo” Falk) ci introduceva in un mondo visto dall’alto, in cui era possibile non solo entrare nelle case dei viventi – eludendo muri e finestre e pavimenti -, ma anche di questi captare il pensiero più intimo.
Aldilà di ogni escatologia, chi potrebbero essere i nostri angeli, chi veramente ha in dono la capacità di penetrare nelle riserve protette del cervello umano, nel linguaggio, nei segreti, nelle paure, nei desideri, nei più stretti soliloqui, …? Gli artisti potrebbero? Sì, forse, ma Wenders qualche altro indizio pare suggerirlo: essi angeli annotano, mossi da struggente nostalgia per il semplice e reale quotidiano. Scrivono, prendono appunti, entrano nelle storie, quasi potesse la scrittura addomesticare l’atto al desiderio. Sarebbe bello dunque pensare agli scrittori come se fossero loro gli angeli di una dimensione laica, non certo smaliziata, del tempo e dello spazio dati e conosciuti.
Riccardo Bacchelli, insigne e solido letterato che Bologna si può fregiare di annoverare tra i suoi figli migliori, è conosciuto per la legge che da lui prende nome, finalizzata alla concessione di un assegno straordinario vitalizio a quei cittadini che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, ma che versano in situazioni di indigenza. Così a me era noto, fino a quando non sono entrato in contatto con la sua incredibile produzione letteraria. Ciò che più mi ha colpito è l’ironia e il garbo con cui risolve descrizioni di ambienti e personaggi. Scartabellando tra i volumi che compongono il fondo situato presso la suggestiva e storica biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, ho incontrato un testo in cui l’autore definiva se stesso artista e artigiano al contempo. In effetti è questa l’impressione che se ne ricava. La scrittura di Bacchelli, se non fosse così sapientemente snodata e diretta, rischierebbe di scadere nel vieto accademismo sintattico e grammaticale. Il suo incedere è invece articolato, mai complicato e faticoso, si sorride spesso in molti suoi passaggi e non si capisce se per gli alleggerimenti e le intuizioni degli sviluppi narrativo/discorsivi, o per il felice risolvimento dell’ampio periodare. Arte e artigianato sembrano sostenersi a vicenda per definire la cifra più originale di un autore il cui nome sarebbe bene riportare in circolo, non avendo nulla da temere dal confronto con le altre e alte voci della letteratura novecentesca.
La scelta dei testi qui presentati è volta a dare un breve saggio della sua produzione, che passa dalle presentazioni su commissione al romanzo, ad accomunarli è la chiara istanza di fondo: la parola che si innalza, che diviene suono e ricade alfine sulle cose, sul foglio, indicandole esattamente, per ciò che sono e che potrebbero essere in quanto suono puro. La sensazione percepita è d’essere al cospetto di una lingua sconosciuta, dalle cui frequenze piano piano pare emergere un sentimento, una velata nostalgia, l’irresistibile richiamo di un’appartenenza, quasi un SOS lanciato in mezzo alla tempesta della contemporaneità mediatica, e il suono che sembrava sconosciuto ci appare di colpo familiare. Gli interventi vocali e musicali questo languore e questa varia articolazione intendono mettere in luce.
Adesso, proprio adesso!, sarebbe bello immaginare Riccardo Bacchelli intento sul proprio taccuino a scrivere, prendere appunti, entrare nelle storie, le nostre forse, da lì .. quell’altra dimensione a noi così tanto sconosciuta!
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IL DIAVOLO AL PONTELUNGO
Testi > Riccardo Bacchelli, Joseph Conrad, Marguerite Yourcenar, Massimiliano Martines
> di R. Bacchelli
Preludio (da “Il diavolo al Pontelungo”, 1927/1957)
Pensieri di una notte canicolare (da “Acque dolci e peccati: Novelle, fiabe e racconti”, 1930)
Le bolognesi (da “Italia per terra e per mare”, 1962)
Voce recitante > Massimiliano Martines
Chitarre > Daniele Chiefa
Percussioni > Max Messina
Massimiliano Martines nasce a Galatina (Lecce) il 14 aprile 1974. Vive e opera a Bologna dal 1995. Ha lavorato come attore con alcuni gruppi della scena contemporanea, prima di fondare la compagnia dry_art e curare la regia di diversi spettacoli. “PIXELDITALIA” è la sua quarta opera di poesia, che segue a "Anime infernali" (Giraldi ed.), "Della sete dell'anello" (Manni ed.) con prefazione di Roberto Roversi e postfazione di Mariangela Gualtieri e "Ho scritto ti amo sullo specchio" (ed. Pendragon). Nel 2009 ha pubblicato il suo primo cd musicale “Frottole”. È direttore artistico del Festival “SUONI – scritture contemporanee”.