Ogni giorno alle 6,40 del mattino “Rainews” (Raitre) si collega con “Caterpillar” (Radiodue) per aprire una finestra di dialogo con gli ascoltatori della radio. In una delle ultime puntate il tema era quello dei bassi salari, scelto per simpatia con la ministra Fornero, unica star mediatica del governo Monti. La banda di Caterpillar ha invitato il suo pubblico, già sveglio nelle nebbie del mattino, a dire quanto guadagna. E così abbiamo scoperto che, anche tra i cosiddetti “garantiti”, c’è chi viene pagato 500-600 euro al mese. Oppure che un metalmeccanico, in base al dannato contratto nazionale, guadagna 7 euro l’ora. Mentre un esperto informatico, ingaggiato per una perizia dal tribunale, sulla base di una retribuzione fissata in 34 euro al giorno, dopo un anno non ha ancora visto un euro. Questo succede nella Repubblica fondata sul lavoro, a chi è tanto fortunato da avercelo, un lavoro. E forse, prima di mettere i giovani contro quei satrapi degli anziani garantiti, si dovrebbe pensare che questi ultimi, con i loro magri stipendi (o magrissime pensioni), consentono pure a tanti ragazzi precari di sopravvivere.
Maroni fa rima con Berlusconi
La Lega ha imparato molto da Berlusconi. Anzitutto l’importanza della televisione e il mostrare oggi una faccia e domani un’altra. A volte addirittura nello stesso giorno, a seconda dell’inquadratura, i leader leghisti fanno la faccia feroce oppure sorridente e ragionevole. Così Roberto Maroni, che da ministro si vantava di arrestare 8 mafiosi al giorno e oggi, intervistato da Lilli Gruber, da un lato giustifica il linguaggio parafascista di Calderoli e dall’altro recita da politico responsabile, che ha diretto il Viminale. Del resto, Maroni è uomo d’ordine a intermittenza. La sua concezione della legalità è solo esterna alla Lega o magari alla padania inesistente. Anche per lui, come per gli altri, dietro il mito del territorio c’è l’appartenenza al gruppo, l’affiliazione, che è un po’ la fase tribale della politica. Per questo, dentro il clan, lui e Calderoli si scannano per il potere, ma all’esterno si sostengono. Perfino quando Calderoli si rivolge al premier Monti con le parole: «La gente la verrà a prendere a casa». Minaccia (mafiosa!) che strappa appena un sorriso all’ex ministro dell’Interno.
Le minacce di Bricolo e il parlamento inesistente
Quelli che da tempo si domandavano a che cosa servisse il soppalco che il leghista Bricolo ha sulla testa, finalmente hanno potuto verificare che, in quello spazio vasto e apparentemente sgombro, il senatore tiene la sua riserva di protervia. Sentendo il discorso che ha fatto al Senato, nessun italiano poteva trovare tollerabile il tono di minaccia rivolto al parlamento e al Paese tutto, a nome e per conto di un altro parlamento (inesistente) e di un altro Paese, pure inesistente. Bricolo si è rimesso alle decisioni del parlamento del Nord, che non è stato eletto neppure dagli italiani del Nord. Si tratta infatti di un consesso volontario di individui dotati di sedere a due piazze, per occupare doppia cadrega, nonché parenti e affini, secondo il costume leghista, che si adegua sempre più al familismo mafioso. Eppure, il capo dei senatori Pdl, Gasparri, concludendo il dibattito, ha trovato modo perfino di agitare un libro contro le Coop, ma non ha detto una parola contro il discorso anti italiano di Bricolo. Si vede che anche l’amor di patria di Gasparri sta nel soppalco di Bricolo.
Le donne, la crisi e lo strabismo di Ichino
L’articolo 18 è riesploso. A riaccendere la miccia è stata la ministra Fornero, che stavolta non ha pianto, anche se offesa dal tono con cui Susanna Camusso ha respinto ogni ipotesi di modifica della norma che già consente i licenziamenti per giusta causa; per ingiusta no. Tra le due si è inserita la terza signora più potente d’Italia: Emma Marcegaglia. Cosicché, in un Paese dove le donne che contano sono davvero poche, assistiamo allo scontro su uno dei temi più caldi proprio fra di loro. E gli uomini gongolano. Ma, a far esplodere la battaglia, non è stata certo la rivalità femminile. I signori della destra sostengono che, per dare lavoro ai giovani, bisogna poter togliere diritti a quei (pochi) vecchi che li hanno. Nei talk show sono citatissime le tesi di Pietro Ichino e Luca Ricolfi. Chissà se due uomini di sinistra, che piacciono tanto alla destra, non cominciano ad avere dei dubbi.
La figlia del “caro leader”
In Corea del Nord è morto il figlio di Kim Il Sung: gli succederà un altro figlio, di cui si conosce solo la faccia, che in queste ore sta girando su tutte le tv del mondo. Così come le immagini delle lacrime e dello strazio imposti dalla fedeltà al regime. Immagini che, con tutto il rispetto per l’anima del “caro leader”, sono irresistibilmente ridicole. Donne che si contorcono, uomini che sbattono la testa per terra e tutta una mimica del dolore che pare ispirata direttamente allo stile del cinema muto. Ora, è vero che il defunto a noi occidentali appariva già abbastanza ridicolo da vivo (era l’unico uomo al mondo pettinato peggio di Berlusconi), ma ogni cultura ha i suoi rituali e ogni dittatura manifesta vivo sprezzo del ridicolo, oltreché dei diritti umani. Basta pensare a Mussolini e al suo grottesco “carisma”, cui si ispira apertamente il nostro ex premier, che tanto ha fatto per distruggere la reputazione dell’Italia. Del resto, anche da noi appena ieri c’era chi cantava “Meno male che Silvio c’è”, arrivando a proporre che a Berlusconi succedesse la figlia Marina. Giusto come in Corea del Nord (e in Padania).
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.