La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Mussulmani: pacifisti o fondamentalisti?

20-05-2009

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Scrivere di Islam in Italia non è facile, né definitivo: si tratta, infatti, di una realtà in continua evoluzione, contraddistinta da una forte eterogeneità e complessità. La prima differenziazione, valida ovviamente per l’Islam mondiale come per il nazionale, è quella tra sunniti (seguaci della Tradizione di Muhammad) e sciiti (seguaci del “partito” di ‘Ali, genero del Profeta). I primi costituiscono l’88 per cento dei fedeli, gli altri il 9. Il restante 3 è spartito fra sétte, baha’i e confraternite mistiche.

Tale suddivisione, tuttavia, non è affatto esaustiva: per quanto i pilastri della fede e del culto accomunino tutti i musulmani della Terra, ogni corrente ha sviluppato scuole teologiche e giuridiche, tradizioni differenti. All’interno del sunnismo, per esempio, coesistono quattro diverse scuole giuridiche. A seconda che un fedele, per origine geografica o per appartenenza politico-religiosa, sia vincolato a una piuttosto che a un’altra, si avranno modi differenti di interpretare e utilizzare codici e regole.

Livello culturale, apertura mentale, condizione economico-sociale, situazione politica del paese d’origine, produrranno ancora altri modi di vivere l’Islam.

Premesso ciò, va aggiunto subito dopo che sono molti i non praticanti, coloro, cioè, che non fanno riferimento a moschee, gruppi o associazioni musulmane, e non seguono i precetti cultuali. Persone che non pregano, non osservano il periodo di digiuno e di astensione, sawm, durante il mese di ramadan; che non rispettano le norme alimentari (soprattutto il divieto delle bevande alcoliche).

Differenziazioni e tendenze…

In linea di massima, possiamo affermare che in Italia convivano più tendenze dello stesso Islam, riconducibili a differenti orientamenti.

Iniziamo con la più diffusa: quella di chi vive la fede interiormente (nelle preghiere in casa o in moschea, o tra le pause di lavoro), mentre si sforza sulla strada dell’integrazione – oppure è già ben integrato -, pur mantenendo salde le proprie radici e le proprie tradizioni (sono forse questi i moderati?). È un “Islam privato” nel senso che i credenti non aderiscono ad attività sociali, culturali, ad associazioni, ecc. E quando è prevista, la frequenza in moschea è limitata alla preghiera settimanale del venerdì.

Un’altra “categoria” (molto citata in questo periodo) è quella dei “laici”. Mancando nell’Islam sunnita un clero a cui contrapporre la parte “civile”, questo termine è poco appropriato e crea una gran confusione. Infatti vengono così definiti sia coloro che non frequentano i luoghi di culto e i centri islamici, che non pregano e si limitano a un legame di tipo “culturale” con la tradizione di appartenenza facendo riferimento a un piano di valori etico-morali, sia quelli che rivendicano indifferenza o rifiuto totale e su tutti i piani nei confronti della religione – questi sarebbe più opportuno definirli semplicemente atei o agnostici. Sia, ancora, quelli che pur frequentando le moschee, pregando, organizzando attività culturali e religiose, seguendo in modo piuttosto ortodosso precetti e usanze, amano definirsi tali. Laici, appunto. E qui non è proprio chiaro da chi vogliano distinguersi, forse da quei musulmani “impegnati” sui temi scottanti della politica internazionale.

O forse, semplicemente, “laico” e “moderato” sono due termini che vanno di moda nei salotti tv o nelle pagine di certi giornali, e allora, chi può s’adegua.

Vi è poi la realtà dei credenti committed, impegnati, a livello sociale, culturale e religioso: sono i sostenitori, da un lato, di una riforma e di un rinnovamento dell’Islam in senso modernista, dall’altra di una partecipazione attiva, coerente, ai grandi temi nazionali e internazionali – rapporto nord-sud del mondo, squilibri economici e ambientali, ingiusta distribuzione delle ricchezze, oppressione, tirannia, situazione palestinese e irachena, guerre, ecc. Per talune prese di posizione, è un Islam vicino al vasto movimento newglobal, che non piace a certi ambienti newcons/neoliberisti (europei, statunitensi, ecc.). Questi musulmani fanno spesso parte di un’elite colta, economicamente e socialmente ben inserita, dedita alla promozione dell’Islam “dal basso” – una sorta di re-islamizzazione delle comunità islamiche e non degli italiani di altre religioni, anche se le conversioni non mancano, ma sono limitate nel numero -, disponibile al dialogo interreligioso e all’incontro con l'”altro”. Sono fedeli praticanti e osservanti, che vivono integralmente i precetti dell’Islam ma che si ritengono aperti alla modernità: i loro rappresentanti stanno, infatti, tentando un’opera di re-interpretazione della shari’a e del diritto in accordo con i tempi. La loro concezione di jihad è quella di “sforzo sulla via di Dio”, sulla strada del bene, della riforma interiore, sociale e politica, anche se non sono pochi coloro che giustificano, come autorizza l’Islam, la risposta armata, “resistenza”, in caso di oppressione o di invasione da parte di eserciti esterni (come in Afghanistan, Iraq, Palestina…). Non si tratta, infatti, di pacifisti tout-court.

Ci sono, poi, le tendenze o posizioni radicali, vicine a ideologie e pensieri di tipo salafita, wahhabita. Con le dovute differenziazioni, anche sostanziali, tra l’una e l’altra.

Fondamentalisti o integralisti?

Merita che ci si soffermi un momento sui termini “fondamentalista” e “integralista”: essi sono inesatti, anche se comunemente utilizzati da storici, sociologi, esperti. Sono infatti mutuati dal cristianesimo. Si dovrebbe, più correttamente, parlare di “Islam radicale” o di “islamismo radicale”.

Un’altra riflessione importante è quella sulla genesi storica del fenomeno del radicalismo islamico, poiché su tale tema le opinioni divergono alquanto: alcuni studiosi lo interpretano come una sorta di reazione di causa-effetto al dominio occidentale sul Sud del mondo e sui paesi islamici. La chiave di lettura, qui, è di tipo economico-politico-ideologico. Altri fanno notare come, invece, il cosiddetto “fondamentalismo” non sia legato da una relazione causale con il colonialismo e il successivo squilibrio economico Nord-Sud. Storicamente, infatti, affonda le proprie radici nel XVIII secolo, nella reazione all’egemonia turco-ottomana e a secoli di “oscurantismo”, come spiegano bene la figura e l’opera di Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhab, fondatore del wahhabismo.

È opportuno infine precisare che, spesso, si verificano fluttuazioni tra le varie “correnti” ideologiche, a seconda degli ambienti frequentati dai singoli aderenti e del periodo storico. In Italia, per il momento, non sembra esistano forme di aggregazione politico-fondamentalista strutturate e radicate, con adepti in attività stabile e continuativa. La maggior parte dei casi di “presunti terroristi”, “cellule in sonno”, “kamikaze europei” e altro, si sono rivelati inconsistenti, anche se nulla ci vieta di pensare che qualche presenza potenzialmente aggressiva e lesiva possa esserci.

L’islam “privato”

Esso rappresenta forse la tipologia più “quotidiana” e diffusa: quella dei tanti padri di famiglia che lavorano nelle fabbriche, nei mercati, nelle ditte di edilizia o di decorazione; quella di molti professionisti che hanno fatto carriera; quella delle mamme che accompagnano i figli a scuola indossando lo hijab e il jilbab, o di quelle che, a fatica, distinguiamo tra la folla perché vestono come noi. La maggior parte di costoro ha bambini che conoscono poco l’arabo o lo parlano solo in casa. A questa categoria appartengono anche i genitori maghrebini che, con orgoglio, raccontano dei progressi scolastici dei loro figli, o, con rammarico, ne chiedono un sostegno linguistico. Le famiglie che festeggiano la ‘id al-Fitr a fine ramadan, o comprano la carne di montone macellata per la ‘id al-Adha, la celebrazione del sacrificio, e con la stessa spontaneità, a Natale, preparano l’albero o fanno gli auguri ad amici e conoscenti cristiani.

Tuttavia, a questa categoria appartengono anche gli altri, quelli “impegnati” – il cosiddetto “Islam sociale” a dimostrazione che non si possono tracciare linee di demarcazione nette tra una “tendenza” e l’altra.

Tra accoglienza e pregiudizio

È ormai evidente come anche l’Italia si sia trasformata in una società dai tratti multiculturali. Fa parte della storia dell’umanità lo spostamento ciclico di masse di persone, intere popolazioni, da una regione all’altra, da un continente all’altro, per cause imputabili al clima, alle guerre, alla ricerca di cibo e di nuove fonti di sussistenza, o, semplicemente, e più limitatamente nel numero, all’amore verso la conoscenza e alla scoperta di nuove terre.

Due, essenzialmente, sono le tendenze alla base dei rapporti di comunicazione con i nuovi “attori” sociali che dividono con noi lo spazio: una, estremamente ottimistica, quanto irreale, che tende ad accettare in toto la cultura dell'”altro”, esaltandola fino a negarne gli aspetti più problematici (un po’ il mito romantico del “buon selvaggio”). L’altro atteggiamento è quello opposto: della non accettazione, del rifiuto del diverso, della sua stigmatizzazione e colpevolizzazione come entità che appare, sempre e comunque, sporca, criminale, deviante e che insidia i nostri “posti di lavoro”.
Va da sé che la verità sta da un’altra parte. E se è indubbio che nella “massa” vi siano anche dei disonesti, dei delinquenti o degli inaffidabili, la maggior parte è qui perché insegue una strada di realizzazione umana e professionale, o la speranza di una vita migliore di quella che l’attenderebbe in patria.

Angela Lano

(da “Islam d’Italia”, Edizioni Paoline, Milano)


La hanafita, la malikita, la shafi’ita, la hanbalita.

Quello formato da intellettuali, scienziati, economisti, filosofi, giuristi, giornalisti, politologi e società civile pacifica di tutti i continenti.

Sharî’a o shir’a, la legge rivelata dell’Islam. Dalla radice araba: shara’a in I,II,VIII forma: introdurre (leggi), prescrivere, legiferare.

Dalla radice araba jahada: in I e III forma, sforzarsi, fare sforzi, battersi, combattere. Schematizzando, esiste un jihad maggiore e un jihad minore: il primo indica lo sforzo verso l’auto-riforma interiore, la lotta contro i propri limiti, mancanze, vizi, ecc. verso il miglioramento della società; il secondo è lo sforzo militare in difesa del dar al-Islam, i territori dell’Islam, attaccati, occupati. Ha un carattere difensivo e deve rispondere a precise regole stabilite dal Corano e dalla sunnah. Per approfondimenti, si legga la spiegazione contenuta nella versione in italiano del Corano curata da Hamza Roberto Piccardo, edizioni Newton Compton, e l’inchiesta “Religioni, strumento di pace. Sulla via di Allah. Il jihad nell’Islam”, a cura di Angela Lano, Missioni Consolata, settembre 2004.

Si veda “L’islamismo radicale”, Bruno Etienne, Rizzoli Editore, Milano 1988-2001.

Hijâb, dalla radice araba hajaba: velare, coprire, schermare, proteggere, nascondere. Si tratta di un foulard che copre la testa lasciando scoperto il viso.

Jilbâb, abito femminile lungo, sovra-veste; la jallâbîya è, invece, la “tunica” comunemente usata dai maschi, soprattutto in Egitto.

La festa di rottura del periodo annuale di digiuno.

‘id al-Adha o ‘id al-Kabir, festa grande: viene ricordata la sottomissione di Abramo a Dio e la disponibilità del vecchio patriarca a sacrificargli il figlio Ismaele (per la tradizione islamica non è Isacco), poi sostituito da un ariete. È anche la festa che conclude il periodo di pellegrinaggio, nel mese di Dhu al-Hijja, a Mecca.

Angela LanoAngela Lano, giornalista e orientalista. Direttore responsabile dell'agenzia di stampa InfoPal.it, è specializzata in islam e in mondo arabo-islamico. Come giornalista ha collaborato con La Repubblica, Africa, Missioni Consolata, Nigrizia. Tra le sue pubblicazioni, Islam d'Italia (Paoline, 2005); Voci di donne in un hammam (2002), Quando le parole non bastano (2003), Emi editrice; Nakba (Al-Hikma, 2009).
 

Commenti

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