Juan Damonte, Ciao papà, Elliot, 2009
«L’originalità di “Ciao papà” non si limita al piano linguistico: se sono ormai numerosi, infatti, gli scrittori che hanno affrontato, anche in chiave poliziesca e noir, gli anni bui della dittatura argentina, nessuno che io sappia ha scelto il singolare punto di vista di un malavitoso disincantato e cinico, per di più affetto da sdoppiamento della personalità. E se è vero che il noir è oggi il genere che meglio si presta a evidenziare e denunciare i mali della società, non sfuggiranno al lettore i meriti di un romanzo che lo guida attraverso i labirinti più cupi di quella realtà allucinante che è stata la storia dell’Argentina dal 1976 al 1983.»
Consiglio, per iniziare la lettura, di partire proprio dalla nota del curatore e traduttore di questo breve (e unico) romanzo di Juan Damonte, innanzitutto per rendersi conto di quanto di autobiografico vi sia nelle vicende del suo protagonista, Carlos Tomassini, giovane ma promettente rampollo di una famiglia di malavitosi italiani immigrati (a conferma della ben nota e volentieri dimenticata capacità italiana di esportare non solo il meglio di sé). Già dalle prime righe comprendiamo che il nostro percorso accanto a lui non sarà una passeggiata. Con la massima disinvoltura, infatti, veniamo coinvolti in regolamenti di conti fra bande rivali a base di scazzottate e sparatorie, festini dove droga e alcol sono gli invitati d’onore, rocambolesche fughe in auto e conflitti a fuoco (senza lesinare nell’uso di bombe a mano) con poliziotti corrotti. Ma il motivo dominante del libro è tragicamente reale: la ricerca di un cugino di Carlos, uno dei tanti indesiderabili fatti sparire dalla forza pubblica. È per le strade di una città resa invivibile da un assurdo clima da guerra civile, in quartieri di pensionati “dove i figli guadagnano meno dei genitori, e i nipoti nemmeno ce l’hanno, un lavoro” (siamo dall’altra parte del mondo, non in un altro mondo) che si snoda la faticosa ricerca, nel corso della quale tutti possono essere utili per fornire informazioni, ma di nessuno ci si può fidare.
Con questa imprudente caccia all’uomo, Carlos sa di mettere a repentaglio non solo la propria vita, ma l’esistenza del suo stesso clan: eppure, contravvenendo al sacro codice della famiglia, decide di continuare, anche quando la morte di tanti suoi amici e parenti lo lascerà quasi solo ad affrontare la verità. La scoperta del corpo quasi irriconoscibile del cugino, ammonticchiato insieme a tanti altri in una discarica, come merce di nessun valore sulla bancarella del mercato, segnerà la sua fine. Eppure coinciderà anche con il momento più tenero della sua vita, una vita in cui l’estremo atto di compassione è stato dare il colpo di grazia all’amico mortalmente ferito.
Pagine feroci e agghiaccianti, dove la musica del tango in sottofondo non rende meno implacabili i giudizi sui protagonisti di un periodo terribile della storia argentina: “Nessuno si salva dallo sguardo amorale e impietoso di Carlos Tomassini: non certo i militari, o i preti, ma nemmeno gli improvvisati rivoluzionari, e men che meno la massa passiva e sempre pronta a trasformarsi in complice delle cosiddette ‘forze dell’ordine’. Un ordine che mostra il suo volto più autentico e atroce nelle discariche dove si accumulano i cadaveri mutilati dei desaparecidos”.
Federica Albini, laurea in filosofia. Ha insegnato negli istituti statali. Nel 1994 lascia il mondo della scuola per avventurarsi nell’editoria. È redattrice in uno studio editoriale. Vive a Piacenza, lavora a Milano.