Il Campionato mondiale di calcio impazza, il primo in territorio africano, fra l’entusiasmo degli appassionati dei cinque continenti. Fidel Castro che fa parte di questa maggioranza, racconta nelle sue Riflessioni i suoi pronostici, le sue preferenze e il suo sconcerto per la decisione della FIFA di utilizzare un nuovo pallone, tecnologicamente avanzato, rapido e sgusciante, che lascia sconcertati i giocatori.
Ma fra queste osservazioni scherzose e leggere, il vecchio comandante non dimentica di insistere su una contingenza di politica internazionale che lo preoccupa moltissimo e che vorrebbe vedere discusso e affrontato invece che messo sotto silenzio e dimenticato. Ciò che preoccupa tanto Fidel è il gioco che stanno conducendo gli Stati Uniti ed Israele in Medio Oriente e il loro ardente desiderio di spazzar via il governo nazionalista dell’Iran.
Vi sono ragioni a sufficienza per essere preoccupati, vista la disinvoltura con cui la superpotenza mondiale ha considerato carta straccia una serissima mediazione diplomatica, coerente con le preoccupazioni internazionali, di due paesi del Terzo Mondo che hanno osato comportarsi da protagonisti e parti in causa nello scacchiere internazionale. L’iniziativa di Lula e di Erdogan presso Teheran, meritava il plauso delle nazioni, avendo dimostrato che con l’Iran si può dialogare e perfino scendere a patti. Tutto è cominciato dopo un colloquio durante i lavori del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fra Lula ed Obama che aveva meritato una circostanziata risposta di Obama che scriveva il 20 aprile al presidente del Brasile una lunga lettera sul tema del nucleare in Iran in cui diceva, fra l’altro: “Vorrei sollecitare il Brasile a convincere l’Iran dell’opportunità di questa proposta di creazione di un deposito di garanzia del suo uranio in Turchia durante il processo di produzione del combustibile nucleare”. Detto fatto, Lula, insieme al collega turco Erdogan si è messo in viaggio e in tempi brevi è riuscito a firmare, il 17 maggio un’intesa per lo scambio di uranio scarsamente arricchito con combustibile nucleare, affidando alla Turchia il compito di arricchire il minerale: esattamente come Obama aveva indicato nella sua lunga lettera a Lula.
Ma si sa che fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: la solita Clinton ha accusato Turchia e Brasile di essersi fatti prendere in giro da Ahmadinejad, appena qualche settimana dopo l’accordo fra Iran, Turchia e Brasile. Le Nazioni Unite hanno confermato le sanzioni all’Iran mentre –non contento- il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Tim Geithner ha annuncia oggi che il suo paese ha deciso un rafforzamento dell’embargo a Teheran.
Nella superpotenza mondiale sta accadendo qualcosa di gattopardesco: cambiare tutto perché non cambi nulla. Delle speranze suscitate dall’elezione di Barak Obama resta poco o nulla ed appare ogni giorno più evidente che in politica estera non è esagerato parlare di continuismo con l’aggressiva politica di Bush. Il primo Presidente degli Stati Uniti di origine africana, al quale spettava un compito storico e che sembrava volesse portarlo avanti nelle parole del suo famoso discorso al Cairo, dimostra ogni giorno più chiaramente di voler mantenere la tradizionale strategia militare e politica di destabilizzazione delle nazioni indocili che non si sottomettono al suo dominio.
Se fosse vero quello che hanno denunciato alcuni giornalisti come Wayne Madsen (sito web Wayne Madsen Report) e cioè che l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan non è stato opera della Corea del Nord, ma di forze speciali nordamericane che stavano procedendo a collocare mine sul fondo marino da una loro nave civile, il Salvor, allo scopo di creare tensione nell’area e fare pressione presso il Primo ministro giapponese che si era impegnato nella sua campagna elettorale a liberare la base statunitense di Okinawa, che infatti è rimasta nelle mani della superpotenza; se ciò fosse vero, dovremmo davvero preoccuparci, e molto.
Intanto la Turchia paga il ruolo svolto nella trattativa con l’Iran con i nove morti della nave turca della Flottiglia della Libertà che le truppe speciali israeliane hanno assalito, senza ricevere né giustizia né solidarietà. Perché Israele ormai ha il ruolo di un gendarme agguerritissimo in Medio Oriente e pare che grazie agli Stati Uniti abbia ottenuto un corridoio aereo verso l’Iran che appare sempre più come un obbiettivo da distruggere nella strategia militarista che qualcuno già chiama del “bushismo”.
E allora, come dare torto al vecchio Comandante quando riflette:
“Dobbiamo chiederci adesso quando il Consiglio di Sicurezza analizzerà l’affondamento del Cheonan, che era la nave portabandiera della Flotta Sudcoreana; che condotta seguirà dopo che le dita sul grilletto delle armi nella penisola coreana spareranno; se è vero o no che l’Arabia Saudita, d’accordo con il Dipartimento di Stato, ha autorizzato un corridoio aereo in modo che le ondate di moderni bombardieri israeliani attacchino le postazioni iraniane, cosa che rende probabile perfino l’uso delle armi nucleari somministrate dagli Stati Uniti. Fra una partita e l’altra della Coppa del Mondo di Calcio, queste diaboliche notizie si insinuano piano piano, in modo che nessuno se ne occupi”.
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.