Due passi della Scrittura ci aiutano a definire gli attori e i tempi propri del perdono secondo l’orientamento proprio della tradizione ebraica. Il primo passo: «Se tu dovessi considerare le colpe Signore, Signore chi potrebbe stare ritto? Ma con te è il perdono, affinché tu sia temuto» (Sal 130, 3-4). Il secondo passo: «Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino» (Is 55,6). Dio, che regge e governa il mondo con la misura della giustizia e con la misura della misericordia, è colui che perdona le colpe dell’uomo; solo Lui e nessun altro (né in terra né in cielo), come interpreta la tradizione rabbinica: «Tu non hai concesso a un tuo inviato il potere di perdonare» (Rashi su Salmo 130,4). Pertanto è a Lui, e a nessun altro, che l’uomo, peccatore ma desideroso di mutare la direzione della propria vita, deve innalzare la richiesta di perdono, che nasce non dal timore ma dall’amore ed è resa possibile dal cammino di pentimento e di conversione (teshuvà).
La conversione, il pentimento e la richiesta di perdono non hanno un tempo predeterminato, ma c’è un momento, nel corso dell’anno, in cui il perdono diviene il tratto distintivo dell’agire di Dio, pronto ad accogliere il ritorno dell’uomo: nei dieci giorni, i giorni terribili (jamìm nora’ìm), i primi dell’anno ebraico, che vanno da Rosh ha-shanà (il capodanno ebraico, il primo del mese di Tishrì) a Jom Kippur (il giorno dell’espiazione, il dieci dello stesso mese). E, in quei giorni, Dio perdona le colpe che l’uomo ha commesso contro di Lui, solo queste, non quelle commesse contro un altro uomo per le quali è necessario un cammino di riconciliazione. Così insegna il Talmud: «Per quanto riguarda una singola persona, quand’è (che può chiedere che venga mutato il decreto che la riguarda)? Ha detto Rabbà bar Abbahu: Nei dieci giorni che vanno da Rosh ha-shanà a Jom Kippur» (bRosh ha-shanà 18a). In una preghiera, fortemente espressiva e poetica, che si recita a Rosh ha-shanà, è proclamato: «A Rosh ha-shanà le anime vengono iscritte, a Kippur alla loro vita è apposto il sigillo. Viene stabilito quanti lasceranno questa vita e quanti vi entreranno, chi vivrà e chi morrà, chi alla sua ora e chi prematuramente. […] Ma penitenza (teshuvà), preghiera (tefillà) e carità (tsedaqà) allontanano il rigore della sentenza».
L’arco di dieci giorni indica un cammino che richiede scelta di campo, impegno, contrizione e volontà di ritornare fino al Signore. Come il peccato e la colpa rompono gli equilibri del creato, in alto e in basso, così la via che conduce al perdono deve essere un percorso che, passo dopo passo, cerca di ricostituire l’equilibrio incrinato. Penitenza e preghiera riaprono la comunicazione fra l’uomo e Dio; la carità spinge l’uomo verso l’altro uomo e porta alla riconciliazione. E così, nell’arco simbolico di quei giorni, all’inizio dell’anno, come per una nuova nascita, l’uomo può porre le basi per ottenere, da un lato, il perdono da Dio, che è sempre pronto a sedere sul trono della misericordia ma che può perdonare solo le colpe commesse conto di lui, e per cancellare, dall’altro, gli effetti negativi che le trasgressioni hanno prodotto su altri uomini.
Ma la storia delle generazioni dei figli di Adamo, dalla cacciata dal Giardino all’abisso della Shoà, pone un interrogativo: Dio non ha forse, Lui pure, da chiedere perdono e può essere perdonato? Un passo della Scrittura ci offre un punto di partenza per rispondere: «Grande con lui è la redenzione. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe» (Sal 130, 7b-8). La redenzione, secondo le parole del Salmo, è il prezzo del riscatto che Dio deve pagare per liberare Israele (e l’umanità) in modo definitivo. Il prezzo è alto e il suo peso ha cancellato, se è possibile dirlo, l’onnipotenza di Dio; ora Egli (o meglio: la Shekinà, la sua presenza nel mondo) si è condannato a soffrire con Israele e con l’umanità e tarda, per il peso del dolore, a redimere se stesso e il mondo. Forse perché il Misericordioso non può che perdonare l’uomo, mentre l’uomo può sì amare Dio ed essergli fedele, ma non perdonarlo, a meno che Egli non annulli o non ponga rimedio, qui e ora e ai nostri giorni, a tutto il male che il mondo ha sofferto e continua a soffrire.
[cortesia Madrugada]
Insegnante, scrittore, redattore della rivista QOL