Pasquino racconta: "Due o tre cosette che so sulla cupola del PD a Bologna e su chi ne fa parte"
Gianfranco PASQUINO – PD e Bologna nel caos, “l’arroganza del potere”
15-02-2010A quasi un mese dalle tardive dimissioni del sindaco Delbono, non sembra esserci adeguata, corretta e ampia consapevolezza di quello che è effettivamente successo a Bologna. Oltre al più famoso libraio cittadino, Romano Montroni (direttore delle Librerie Coop e, prima della campagna elettorale, mio amico), erano molti – ad esempio, anche il senatore PD Walter Vitali – quelli che sostennero che il Delbono era un bravo amministratore. Mentre, nel migliore dei casi, poteva essere definito un contabile che, peraltro, “sbagliava” i conti. Se era un bravo assessore al bilancio e ha fatto cattivo uso del denaro pubblico, la sua competenza deve essere considerata un’aggravante. Ci contava per farla franca. No, non si tratta soltanto di un affare di soldi e di donne, che, ad ogni buon conto, sarebbe più che sufficiente a squalificare chiunque dalle cariche pubbliche. Si trattava di arroganza. Aggiungo che il silenzio delle donne del Partito Democratico, che non potevano non essere al corrente delle modalità con le quali l’assessore Delbono si rapportava alle donne, è assolutamente preoccupante. Una di queste donne, poi, Luisa Lazzaroni, già responsabile organizzativa delle pre-confezionate primarie, che, nel pieno dell’inchiesta portava buste contenenti denaro all’ex-amante di Delbono, ha addirittura sostenuto di non sapere e di non avere chiesto di che cosa si trattava. Pazzesco (o incredibile). Infine, ed è questo il punto che conta, molti sapevano. Qualcuno aveva sperato nell’insabbiamento, grazie ad una magistratura passivamente benevola, disposta ad una “benevolenza ambientale” .
Adesso, molti dicono, ad esempio, anche l’on. Salvatore Vassallo, che le primarie vinte da Delbono avevano un esito preconfezionato. Insomma, non sono state primarie esemplari, che è esattamente quello che alcuni di noi, “Cittadini per Bologna” (il gruppo che sosteneva la mia candidatura, alcuni dei quali poi brillantementi espulsi dal Partito o sospesi, qualche giorno prima di Ferragosto 2009: rara applicazione di un regolamento e di uno Statuto che il PD locale abitualmente calpesta), avevamo sostenuto quando rifiutammo di parteciparvi, non accettando il regalo avvelenato di firme che lo staff di Delbono ci propose all’ultimo minuto in base al ragionamento “Pasquino ci fa più male fuori o dentro?”. Risposta, “prendiamolo dentro alle primarie, e lo ‘facciamo fuori’ una volta per tutte”. Bravi, ma non ci siamo cascati, e magari qualcuno potrebbe darcene atto. Per esempio la Repubblica di Bologna, che fece campagna quasi più contro di noi che a favore di Delbono. Loro non sapevano niente e non investigarono su niente.
Il fatto è che dall’indicazione del candidato alle primarie alla campagna elettorale, nella quale Delbono eluse sistematicamente, qualche volta in modo ridicolo, per lo più con arroganza, il confronto, alla sua elezione, l’elemento più visibile era costituito dall’esistenza di un blocco di potere che aveva deciso, con la sola motivazione di mantenere il controllo del Comune, di appoggiare il candidato del Partito Democratico, a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Poi, ci avrebbero pensato loro. Questa non proprio nobilissima motivazione fu condivisa da ex sindaci rossi, Zangheri e Fanti, da più o meno autorevoli parlamentari, in carica e non, dai presidenti delle cooperative che ho incontrato (ma anche da quelli della CGIL e della CNA che non hanno voluto neppure incontrarmi), incontri sgradevolissimi come quello con il presidente del Consorzio Cooperative Costruttori, Piero Collina, della cui tesi in Scienza politica fui, quasi quarant’anni fa, relatore. Ecco, quello che il dibattito in corso sembra volere trascurare, per ignoranza o per malafede, non è tanto e non è soltanto l’esistenza effettiva di un blocco di potere e del suo radicamento. È che quel blocco di potere è acciecato, più o meno consapevolmente, dalla sua arroganza. Ritengono di potersi permettere tutto, a cominciare dalla scelta di un candidato mediocre, ma arrogante, quindi adeguatamente rappresentativo del gruppo dirigente. A continuare con il sostenere che il consenso elettorale (mitico il segretario provinciale in scadenza, Andrea De Maria, con la sua scivolata berlusconiana «gli elettori [su Delbono] si sono già espressi») cancella eventuali misfatti contabili e amministrativi. Per finire con il tentativo annunciato di ritiro delle dimissioni, eppure salutate da chi, Romano Prodi in primis, ne sapeva certamente molto di più, come un “gesto di sensibilità”, mentre erano soltanto un atto troppo a lungo rinviato e già arrivato ai limiti della decenza.
L’arroganza del potere fa perdere la testa, ma purtroppo nient’affatto tutti hanno perso la carica. Anzi, abbiamo assistito alla promozione in Regione del gestore della campagna elettorale di Delbono e suo vicesindaco, Claudio Merighi – da premiare anche se non ha fatto abbastanza vigilanza? – e di qualche altro consigliere comunale. L’arroganza del potere si traduce nella convinzione di avere non soltanto la possibilità, ma quasi il diritto di fare qualsiasi cosa senza tenere conto dei controlli e senza temere sanzioni. L’arroganza del potere si manifesta anche nella presuntuosa affermazione di autosufficienza e nel rifiuto di ascoltare qualsiasi idea e qualsiasi critica.
I dirigenti del PD locale, dei quali in campagna elettorale mi ero augurato la sconfitta, sono effettivamente stati sconfitti dalle loro scelte sbagliate, ma, sfortunatamente per la città e per il PD, non stanno pagandone il fio. E le diverse componenti del blocco di potere si sono soltanto acquattate sperando che il commissariamento della città sia breve affinché possano tornare, come se niente fosse successo, a servire i propri interessi e le proprie carriere con rinnovata arroganza.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).