L’assassinio in Guatemala del conte Karl von Spreti ricostruito come un giallo dal reporter che ha affascinato il mondo. La lunga mano delle multinazionali non perdona nessuno.
31 marzo Avenida de las America. Due uomini col mitra sequestrano l’ambasciatore.
Già nella prima scena c’è tutto il Guatemala: martedì 31 marzo, è da poco passato mezzogiorno. Lungo l’Avenida de las Américas avanza una Mercedes nera. Al volante c’è l’autista Eduardo Hernández. Sul sedile posteriore siede un signore anziano, grigio di capelli, con gli occhiali: è il conte Karl von Spreti, ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca. Procedono a bassa velocità, una settimana fa in città hanno introdotto il limite di trenta chilometri all’ora. Chi intendesse premere troppo il piede sull’acceleratore, potrebbe essere preso a fucilate. Il conte è in Guatemala da soli due mesi, e se c’è una regola la rispetta. A un certo punto, da una strada laterale, arrivano due Volkswagen che bloccano la Mercedes. L’auto dell’ambasciatore si ferma. Dalle Volkswagen scendono sei giovani armati di mitra. Si avvicinano alla Mercedes, aprono le portiere e chiedono al conte di trasferirsi in una delle loro automobili. Von Spreti ubbidisce. Poco dopo i due maggiolini ripartono. Hernández aspetta che le auto scompaiano alla vista. Innesta la marcia e ripercorre il viale in direzione opposta, verso l’ambasciata.
Dove sta il significato di questa scena?
Sta nel fatto che l’Avenida de las Américas è una via trafficata. Ci sono molte automobili e molta gente. Il sequestro dell’ambasciatore deve essere durato un bel po’. In teoria ci si può attendere che qualcuno si fermi, dica qualcosa, gridi, corra alla polizia. C’è da attendersi che si raduni una folla, che qualche curioso chieda: «Ehi, ragazzi, che cosa sta succedendo?».
E invece no, niente di simile. Il traffico continua a scorrere regolarmente, è solo un po’ più veloce. Gli autisti accelerano, chi sta camminando sul marciapiede affretta il passo. La cosa più importante per chi incrocia le due Volkswagen che stanno bloccando la Mercedes è non vedere. Quella gente sa di essere testimone di una violazione, ma in Guatemala la tattica di autodifesa dell’uomo della strada consiste nel non essere testimone di nulla. Infatti, se c’è stata una violazione, qualche testa dovrà cadere. E raramente si tratta della testa dell’autore della violazione. Il vero autore opera al di fuori della portata della polizia. E la polizia deve dimostrare la propria efficienza. In questo Paese non è mai avvenuto che un colpevole non sia stato arrestato. Lo sottolineano tutti i discorsi del presidente. Ma come si fa ad arrestare il colpevole se si è dileguato senza lasciare traccia? Che ci vuole, basta un pizzico di buona volontà. Se non c’è un colpevole si cercano i testimoni. Il testimone viene fermato per chiarimenti. Chi viene fermato per chiarimenti aspetta in prigione. Ma quando uno entra in carcere il più delle volte non torna a casa vivo.
Se la polizia non trova il criminale, è il testimone a diventare un criminale, poiché vedere può significare prendere parte. È vero che si tratta di una partecipazione solo visiva, ma anche questo è partecipare. Ha
visto e ha taciuto. Perché ha taciuto? Perché è uno di loro. Oppure ha visto e ha gridato. Perché ha gridato? Per sviare i sospetti. In ogni caso la colpa è provata. E in fondo non è importante che paghi proprio quello che ha ucciso. Però se uno uccide, un altro deve morire. In questo Paese delitto e castigo hanno dei volti comuni, anonimi, indistinguibili l’uno dall’altro. Ma siccome a rispondere delle colpe sono gli innocenti, allora io posso morire poiché non ho ucciso. E così, più uno è innocente e più è colpevole. Pertanto, più uno è innocente e più ha paura. (…)
4 aprile. La morte dell’ambasciatore e le colpe della Germania.
Il pomeriggio del 4 aprile arriva dalla Germania Federale il direttore del dipartimento del personale del ministero degli Esteri di Bonn, Herr Hoppe. L’alto funzionario non capisce nulla e si comporta come se fosse arrivato in uno Paese normale. Invece di andare dritto filato dall’ambasciatore statunitense, perché il tempo sta passando e l’ultimatum sta per scadere, il direttore Hoppe dà inizio ai suoi tentativi recandosi al protocollo diplomatico del ministero degli Esteri. Poi chiede di poter vedere il presidente, che in quel momento – e Hoppe almeno questo avrebbe dovuto saperlo! – non ha nessun potere. Naturalmente Méndez Montenegro riceve il direttore Hoppe, con il quale si intrattiene a colloquio. Mi piacerebbe sapere se, durante il colloquio, al presidente del Guatemala non fosse venuta la voglia di sedersi accanto al direttore Hoppe, mettergli una mano sulla spalla e dirgli: “Caro signore, ma lei capisce che io qui non conto nulla?”. Ad ogni modo è facile dedurre che il colloquio non portò a niente. Era sabato pomeriggio, e l’ultimatum delle Far era scaduto. In teoria Karl von Spreti poteva essere morto. Il direttore Hoppe riteneva impossibile una cosa del genere. Aveva una buona opinione del Guatemala. Già ai tempi di Adenauer, Bonn aveva inserito il Guatemala nella lista dei Paesi privilegiati per quanto riguarda la concessione di aiuti. Ogni anno Bonn paga all’incirca tre milioni di dollari per mantenere la dittatura guatemalteca. Dopo gli Stati Uniti, la Repubblica Federale Tedesca è il secondo partner commerciale del Guatemala. E’ difficile stabilire il valore preciso degli investimenti tedeschi nel Paese, ma è comunque consistente. E’ stata la somma di tutti questi interessi a determinare l’atteggiamento remissivo di Bonn nei confronti del caso von Spreti. In fondo il governo tedesco, quando Karl von Spreti era ancora vivo, avrebbe potuto minacciare la rottura dei rapporti diplomatici e commerciali con il Guatemala. Forse la sorte del conte sarebbe mutata: il Guatemala non può permettersi di perdere il mercato della Germania Ovest, dove vende la metà del suo caffè, il prodotto di cui il Guatemala vive. Eppure non fu posto alcun ultimatum del genere. Anzi, dopo la morte di von Spreti lo chargé d’affaires dell’ambasciata tedesca in Guatemala, Gerhard Mikesch, ebbe a dichiarare: “La situazione venutasi a creare con l’assassinio dell’ambasciatore non ha danneggiato né danneggerà i buoni rapporti commerciali esistenti tra i due Paesi. Il giro d’affari tra i due Paesi è considerevole. Crediamo fortemente che la tensione tra i due Paesi si allenterà nel momento opportuno. Il governo della Repubblica Federale Tedesca continuerà a offrire supporto tecnico al governo del Guatemala”. Il direttore Hoppe ritenne fino all’ultimo che lo spiacevole caso von Spreti si sarebbe risolto positivamente. “Der Spiegel” ha successivamente rivelato che “ancora poche ore prima della morte di Karl von Spreti l’ambasciata tedesca in Guatemala inviava a Bonn dispacci pieni di ottimismo”.
Ryszard Kapuściński, giornalista e scrittore polacco. Nato a Pinsk il 4 marzo 1932, dopo gli studi a Varsavia lavorò fino al 1981 come corrispondente estero dell’agenzia di stampa Pap. Nel 2003 vinse il Premio Principe delle Asturie per la categoria Comunicazione ed umanità.
Si è spento il 23 gennaio 2007 a Varsavia.